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A rischio produttività del Sud Africa, potrebbero perdere il 20% per colpa del clima

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di Tommaso Tetro

(Rinnovabili.it) – Il Pil dei cittadini del Sud Africa rischia di perdere il 20% per colpa dei cambiamenti climatici entro la fine del secolo, a causa dell’aumento delle temperature. Questo quanto emerge da uno studio – pubblicato sulla rivista ‘Climate and development’ – condotto dagli esperti dell’università di economia e commercio di Atene, coordinato dalla Fondazione del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) e dall’Istituto europeo di economia e ambiente (Eiee).

Gli esperti hanno analizzato una serie di dati empirici per valutare il legame tra temperature, cambiamenti climatici e produttività ed elaborato modelli di previsione per anticipare gli effetti sul Pil.

La squadra di ricerca ha analizzato come il cambiamento della temperatura determinato dai cambiamenti climatici abbia influenzato in passato la produttività del lavoro in Sud Africa, utilizzando un’indagine longitudinale delle famiglie sudafricane condotta tra il 2008 e il 2015 per ottenere informazioni chiave sulla relazione tra le temperature massime settimanali e l’orario di lavoro nella stessa settimana. “In uno scenario in cui si ipotizzano gravi cambiamenti climatici – spiega Shouro Dasgupta, ricercatore alla Fondazione CMCC – la riduzione del Pil pro capite in Sudafrica sarà ovviamente molto più marcata rispetto a una situazione in cui non si verificherebbero alterazioni del clima”.

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I risultati mostrano che “i fattori di stress climatico provocano impatti differenziati sui lavoratori di vari settori, e in generale l’aumento delle temperature riduce la disponibilità dei lavoratori nelle industrie ad alta esposizione al calore, come agricoltura, edilizia, pesca e estrazione mineraria”.

Per il ricercatore la disponibilità di manodopera aumenta con la temperatura fino a raggiungere un picco, per poi diminuire con l’aumentare della temperatura oltre il punto massimo. “La soglia per i lavori di manodopera è di 26,2 gradi centigradi e 28,2 gradi centigradi per i lavori ad alta qualificazione – osserva Dasgupta – chi, infatti, lavora all’interno è meno esposto al calore e non soffre delle piccole variazioni”.

Durante la seconda fase, sono stati utilizzati i dati empirici per elaborare un modello a generazioni sovrapposte, un approccio che consente di proiettare nel lunghissimo periodo l’andamento di un sistema economico sulla base di ipotesi sul comportamento e sulle scelte dei decisori. “Con questi sistemi – rileva Soheil Shayegh, ricercatore presso la Fondazione CMCC e co-autrice dello studio – siamo stati in grado di rispondere a una serie di domande complesse sugli effetti dei cambiamenti climatici sui mercati del lavoro. La diminuzione della disponibilità di lavoro ha un effetto a catena in altri ambiti dell’economia, dalla variazione dei salari fino alla produttività. Questi effetti potrebbero essere estesi potenzialmente anche in altre parti del mondo”.

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In base ai dati emersi, entro la fine del secolo il divario salariale tra lavoro altamente qualificato e poco qualificato si ridurrà come conseguenza della diminuzione della disponibilità relativa di manodopera poco qualificata. “Il divario salariale si sta riducendo perché i salari dei lavoratori scarsamente qualificati stanno migliorando – spiega Shayegh – e questa è una buona notizia. Ma guardando al quadro più ampio, i danni economici sono nettamente superiori. I cambiamenti climatici non stanno solo alterando l’offerta di lavoro, ma stanno anche danneggiando la produttività di tutti i settori. In uno scenario con alterazioni climatiche severe, la ricerca mostra che il Pil pro capite diminuirà del 20% entro la fine del secolo”.

Infine – conclude Dasgupta – “abbiamo considerato solo l’impatto dei cambiamenti climatici attraverso il graduale aumento delle temperature medie e massime, mentre ci sono altri fattori che potrebbero incrementare questi effetti, come l’aumento delle precipitazioni, l’innalzamento del livello del mare, le inondazioni o la siccità. Potremmo aver fornito una stima anche troppo ottimistica dei danni dei cambiamenti climatici sulla produttività”.

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