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La sfida della crisi climatica non si ferma a Glasgow

La COP sui cambiamenti climatici ha finalmente una forte risonanza mediatica. Un'attenzione che, tuttavia, fa ancora fatica ad affermarsi in politiche concrete

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Credits: COP26 (CC BY-NC-ND 2.0)

di Francesco Ferrante

(Rinnovabili.it) – Mai nella ormai lunga storia delle COP, la Conferenza organizzata dalle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici aveva avuto una così ampia copertura mediatica. Sicuramente non nel nostro Paese. Bene. Non era stato così nemmeno nel 1997 quando alla COP3 di Kyoto si siglò il primo accordo internazionale volto alla riduzione delle emissioni di gas climalteranti, un accordo che – volenti o nolenti – avrebbe informato di sé molte delle successive politiche in Europa. E tanto meno hanno sollecitato interesse dei media e delle classi dirigenti le successive Conferenze, con le parziali eccezioni della fallimentare COP15 Copenaghen del 2009 e la storica COP21 di Parigi nel 2015, quella che si concluse con l’annuncio di “aver messo i fossili dalla parte sbagliata della storia”, anche se poi abbiamo visto che non è andata proprio così. Cosa è successo per rendere finalmente questo appuntamento centrale nella percezione globale e non più di “nicchia”, quasi laterale e interessante solo per scienziati preoccupati (ma ignorati), ambientalisti (di solito liquidati come catastrofisti) e un po’ di imprese interessate al business delle rinnovabili? 

Tre i fattori che in questi ultimi anni si sono incrociati e hanno determinato questo auspicato cambiamento che però fa ancora fatica ad affermarsi in politiche concrete. 

Il primo fattore è molto “politico”, ha a che fare con il “consenso” che , come è noto è ciò che muove la politica e i politici, ed è sintetizzabile con “Greta”. L’esplosione del fenomeno della protesta giovanile – in forme totalmente diverse da quelle cui eravamo abituati dagli anni 60 e che si erano replicate più o meno simili sino ai forum sociali dei primi anni 2000 – globale, grazie anche ai social, come non mai. Non violento, ma estremamente radicale nelle richieste e nel definirsi “altro” rispetto ai potenti, ha costretto quegli stessi leader a dialogare con quei ragazzi e a doverne tenere conto, almeno nelle dichiarazioni di principio e nel discorso pubblico come mai prima.

Il secondo fattore è più psicologico ed ha molto a che fare con un sentimento poco nobile ma evidente che è l’egoismo della natura umana. Di riscaldamento globale e cambiamento climatico parliamo da decenni, ma è solo da pochi anni che gli effetti di quella crisi hanno raggiunto le nostre latitudini e il ripetersi sempre più frequente di fenomeni meteorologici estremi ha fatto capire ai cittadini della parte più ricca del Pianeta che forse era opportuno occuparsene. 

E infine c’è un fattore prettamente economico. Produrre energia da fonti rinnovabili e non fossili è diventato “conveniente”. Oggi in molte parti del mondo spuntano prezzi migliori gli impianti fotovoltaici rispetto alle vecchie centrali fossili, sono sempre più appetibili gli investimenti in imprese dell’eolico o di altre rinnovabili. Anche i Paesi più riluttanti a prendere impegni vincolanti riguardo alla riduzione delle proprie emissioni inquinanti (la Cina e l’India) sono protagonisti di massicci investimenti e realizzazione di impianti che sfruttano le fonti rinnovabili. Ne ho scritto di recente nel capitolo dedicato appunto alle rinnovabili sul Rapporto GreenItaly2021 della Fondazione Symbola (scaricabile su www.symbola.net). Fonti rinnovabili che diventano sempre più protagoniste di una nuova chimica verde in sostituzione di materie prime fossili. 

Possiamo dire quindi che siamo alla vigilia della vittoria in questa sfida epocale sulla crisi climatica? Affatto. E anzi è assai probabile che la COP26 di Glasgow si concluda con un sostanziale fallimento in termini di impegni sufficienti, nei tempi e nelle percentuali di riduzione delle emissioni, per rispondere alla pressante richiesta degli scienziati dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) di tenere l’innalzamento della temperatura media globale del Pianeta al di sotto di 1,5 gradi rispetto a quella rilevata in era pre-industriale.

Un paradosso? Non tanto se si considerano i potenti interessi di industrie private (ad esempio le lobby che hanno sostenuto Trump in Usa che ancora oggi ostacolano la svolta di Biden in questo campo) e di molti Paesi (per esempio i produttori di petrolio) che continuano ad aggregarsi intorno ai fossili.

Una tragedia? Non necessariamente. Se almeno a Glasgow diventassero realtà i soldi che i paesi ricchi hanno promesso a quelli poveri e  anche a quelli emergenti già nel 2009 poi nel 2015, potremmo dire che un altro passo nella giusta direzione è stato fatto. I tre fattori che hanno messo finalmente la crisi climatica al centro del dibattito pubblico sono fattori potenti che troveranno la loro strada per affermarsi. Nostra responsabilità è far tenere vivo il dialogo con chi – tagliato fuori dal benessere che lo sfruttamento dei fossili ha garantito da queste parti – adesso giustamente vuole la propria porzione di benessere, in modo da consentire che quella crescita possa avvenire in forme diverse e attraverso il trasferimento di risorse e know how tecnologico senza sfruttare risorse del Pianeta indispensabili per la sopravvivenza della nostra specie.

Trovo invece insopportabile la retorica di chi come il premier britannico Johnson grida aprendo la Conferenza che “siamo un minuto prima della mezzanotte” e nel suo paese aveva addirittura pensato di aprire una nuova centrale a carbone, e piuttosto discutibile anche chi nel nostro Paese con responsabilità di Governo  va sostenendo che le rinnovabili non basteranno a renderci carbon neutral – ammiccando così a tecnologie quanto meno tutte da verificare quali quelle di sequestro del carbonio – quando non riesce a rendere possibili l’installazione delle rinnovabili che si potrebbero fare subito causa impedimenti burocratici assurdi dovuti spesso allo stesso Governo (vedasi approccio del Ministero della Cultura).

Insomma la sfida per combattere la crisi climatica non si ferma a Glasgow, si può vincere, ma ha bisogno di comportamenti coerenti da parte di tutti.

di Francesco Ferrante – Vicepresidente Kyoto Club, Vicepresidente Coordinamento Free