Rinnovabili • Scenari climatici: la scienza non prende abbastanza sul serio quelli più estremi Rinnovabili • Scenari climatici: la scienza non prende abbastanza sul serio quelli più estremi

La scienza deve studiare più a fondo gli scenari climatici catastrofici

Un saggio pubblicato su PNAS sostiene la necessità di allargare l’agenda della scienza del clima agli scenari più catastrofici. Non per catastrofismo fine a se stesso, ma per costruire una gestione prudente del rischio. Il collasso della società e l’estinzione della specie umana non sono ancora futuri impossibili

Scenari climatici: la scienza non prende abbastanza sul serio quelli più estremi
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Gli scenari climatici più estremi sono “un argomento pericolosamente poco esplorato”

(Rinnovabili.it) – In una scena molto famosa di Don’t Look Up, la scienziata Kate Dibiasky usa parole crude e dirette nel tentativo di far capire ai telespettatori le conseguenze per l’umanità di un asteroide in rotta di collisione con la Terra. Un messaggio simile è quello che porta il saggio “Climate Endgame: Exploring catastrophic climate change scenarios” appena pubblicato nella sezione Perspectives della rivista scientifica PNAS. La comunità scientifica non sta prendendo abbastanza sul serio gli scenari climatici più estremi, scrivono gli autori. Inclusa la possibilità che la razza umana si estingua. Scenari che sono ancora possibili se l’azione climatica non sarà adeguata.

Un argomento pericolosamente poco esplorato

“Una gestione prudente del rischio richiede la considerazione degli scenari negativi e peggiori. Tuttavia, per quanto riguarda il cambiamento climatico, tali futuri potenziali sono poco conosciuti”, si legge nel saggio, riferendosi a quegli scenari che vengono definiti comunemente low probability/high impact (la pandemia di Covid-19 ne è un buon esempio). Una premessa che prova a sgombrare il campo dalle accuse più banali che saranno mosse a questo contributo: quella di catastrofismo e di fare – anche inconsapevolmente – il gioco di chi nega o sminuisce l’impatto del riscaldamento globale sul pianeta.

Questo è infatti un saggio che va ostinatamente controcorrente. Da alcuni anni, la comunità scientifica, i divulgatori e buona parte della stampa specializzata si è data come stella polare la ricerca di messaggi positivi. Non per sottovalutare la crisi climatica, ovviamente, ma per sottolineare che siamo ancora in tempo per cambiare rotta. L’azione climatica, in questo modo, dovrebbe uscirne galvanizzata e non depressa. Insomma, si tratta di togliere il terreno sotto ai piedi di chi pensa “Tanto non possiamo più fare nulla” e non contesta il business as usual.

Eppure, guardare il caso peggiore ha ancora senso. Anzi, è un esercizio salutare, sostengono gli autori. “Il cambiamento climatico antropogenico potrebbe portare al collasso della società mondiale o addirittura all’estinzione dell’uomo? Al momento, questo è un argomento pericolosamente poco esplorato, scrivono. “Eppure ci sono molte ragioni per sospettare che il cambiamento climatico possa portare a una catastrofe globale. Analizzare i meccanismi di queste conseguenze estreme potrebbe aiutare a stimolare l’azione, migliorare la resilienza e informare le politiche, comprese le risposte alle emergenze”.

Studiamo anche gli scenari climatici peggiori

L’appello pubblicato da PNAS si rivolge alla comunità scientifica, non al grande pubblico. Il punto è molto semplice: c’è una sovrabbondanza relativa di studi che indagano gli scenari climatici relativi agli 1,5 e ai 2 gradi di riscaldamento globale. Ciò è comprensibile, visto che le evidenze di questi lavori servono per calibrare correttamente le politiche climatiche e capire se la decarbonizzazione sta procedendo a ritmo adeguato per evitare le conseguenze peggiori della crisi climatica.

Molto meno indagati sono gli scenari climatici catastrofici, quelli per intenderci caratterizzati da eventi di estinzione di massa, collassi sociali e dell’economia globale, e incertezza sulla sopravvivenza stessa dell’umanità. Rispetto agli scenari climatici allineati a Parigi, quelli relativi a un global warming di 3 gradi sono troppo pochi relativamente alla probabilità che si verifichino, sostiene il saggio. Inoltre, sarebbe bene avere l’occhio anche oltre il 2100, quando l’effetto combinato di alcuni feedback positivi potrebbe acuire ulteriormente la crisi climatica anche in caso di taglio consistente delle emissioni di gas serra in questo secolo.

Il problema, scrivono gli autori, non sono solo le temperature elevate, ma anche gli effetti aggregati e a catena, come le crisi alimentari o finanziarie, i conflitti o le epidemie, che hanno un potenziale disastroso. Qualcosa che, in piccolo, stiamo intravedendo in questi anni, con la sovrapposizione di crisi climatica, crisi pandemica, crisi energetica e crisi bellica.

La proposta del saggio è di estendere il perimetro dell’agenda della ricerca scientifica sull’impatto della crisi climatica. Quattro le domande di ricerca da aggiungere:

  • Qual è la possibilità che il cambiamento climatico provochi eventi di estinzione di massa?
  • Quali sono i meccanismi che potrebbero portare a una mortalità e a una morbilità umane di massa?
  • Quali sono le vulnerabilità delle società umane alle cascate di rischio innescate dal clima, come i conflitti, l’instabilità politica e il rischio finanziario sistemico?
  • In che modo questi molteplici filoni di prove – insieme ad altri pericoli globali – possono essere utilmente sintetizzati in una “valutazione integrata delle catastrofi”?