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Il record di riscaldamento globale del 2023? Colpa delle nuvole

Riscaldamento globale: il record del 2023? Colpa delle nuvole
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Il record di riscaldamento globale del 2023 ha sorpreso tutti, anche tra gli addetti ai lavori. I +1,48°C sul periodo pre-industriale registrati da Copernicus sono decisamente più di quanto gli scienziati del clima si aspettavano. I modelli predittivi migliori disegnavano una traiettoria crescente, sì, ma non così ripida.

Che cosa spiega il balzo del riscaldamento globale l’anno scorso? La domanda finora ha una risposta solo parziale. Anche contando tutti i fattori antropici (l’aumento dell’accumulo di gas a effetto serra in atmosfera), i fenomeni meteorologici di origine naturale come El Niño e le eruzioni vulcaniche, restano 2 decimi di grado che gli scienziati del clima non riescono a spiegare.

Capire da cosa dipendono questi 0,2°C è importante. Spiegherebbe se i nostri modelli previsionali sono ancora validi o vanno ricalibrati. E potrebbe aiutarci a comprendere meglio la portata di fattori e meccanismi del sistema climatico terrestre a cui, oggi, non diamo la dovuta importanza.

Spiegare il record di riscaldamento globale del 2023

Un nuovo studio pubblicato su Science da un gruppo di ricercatori dell’Alfred Wegener Institute e dell’European Centre for Medium-Range Weather Forecasts di Bonn formula un’ipotesi. I misteriosi 0,2°C “di troppo” sono colpa delle nuvole. Meglio: della mancanza di nuvole.

Il 2023 è stato caratterizzato da meno formazioni nuvolose a bassa quota rispetto al solito. Soprattutto sull’Atlantico. Meno nuvole significa più radiazione solare che arriva sulla Terra, senza essere riflessa nello spazio. E quindi, più calore immagazzinato dal sistema climatico terrestre. In termini più tecnici: la Terra ha registrato una minore albedo, cioè ha una capacità di riflettere la radiazione solare più bassa di prima.

È questo il “fattore primario” che “colma questo divario” tra riscaldamento globale atteso e registrato, sostengono gli autori. “Il declino è apparentemente causato in gran parte da una ridotta copertura di nubi basse nelle latitudini medie settentrionali e nei tropici, in continuazione di una tendenza pluriennale”, aggiungono.

Ma da cosa dipende la minor quantità di nuvole a bassa quota? Su questo punto lo studio non ha certezze. Servono più analisi per comprendere questa tendenza delle nubi a bassa quota.

Tre le possibilità:

“Se gran parte del declino dell’albedo è effettivamente dovuto a feedback tra riscaldamento globale e nubi basse, come indicano alcuni modelli climatici, dovremmo aspettarci un riscaldamento piuttosto intenso in futuro, sottolineano gli autori.

Le conseguenze possibili, secondo lo studio? Sforeremmo 1,5 gradi prima del previsto. Avremmo budget di carbonio più ristretti. Sarebbe più urgente adottare misure di adattamento all’impatto degli eventi meteorologici estremi.

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