Il rapporto sostiene che bisogna aumentare e di molto l’ambizione climatica globale. La neutralità di carbonio va raggiunta al più tardi nel 2040. E serviranno tecnologie di cattura della CO2 dall’atmosfera per rispettare l’accordo di Parigi
Lo studio del Climate Council dà una cattiva notizia sul riscaldamento globale
(Rinnovabili.it) – Nel migliore dei casi la curva disegnerà una gobba. A un certo punto, da qui al 2030, il riscaldamento globale supererà decisamente la soglia degli 1,5°C. Cioè l’obiettivo più ambizioso stabilito dall’accordo di Parigi sul clima del 2015, che permetterebbe di evitare gli impatti più disastrosi del cambiamento climatico. Poi la curva potrebbe tornare ancora a scendere sotto quella soglia. Ma solo a patto di mettere in campo tecnologie per la cattura e lo stoccaggio del carbonio dall’atmosfera.
Le critiche al dossier del Climate Council
La previsione porta la firma del Climate Council australiano e sta spaccando in due osservatori, esperti e scienziati del clima. Una critica autorevole arriva da Carl-Friedrich Schleussner della Humbolt University di Berlino e Bill Hare di Climate Analytics (e prima firma del 4° rapporto dell’IPCC, premiato con il Nobel). I due scienziati condividono il messaggio del dossier sulla necessità di agire con urgenza a livello globale, ma rispediscono al mittente l’idea che sia troppo tardi per evitare di sforare gli 1,5°C di riscaldamento globale.
“Essenzialmente, è chiaro che le prove presentate nel rapporto del Climate Council of Australia non supportano la loro affermazione che gli 1,5°C saranno superati”, sostiene Hare notando che questa conclusione contraddice sia dei recenti rapporti dell’Unep, l’agenzia dell’Onu per la protezione ambientale, sia i rapporti dell’IPCC a cui ha lavorato lui stesso.
Il problema principale sarebbero le stime sul budget di carbonio attribuite a ciascuno Stato. Per valutare la traiettoria futura del riscaldamento globale, uno dei punti più rilevanti è stimare correttamente la quantità di anidride carbonica e di altri gas climalteranti che ciascun paese può ancora emettere in atmosfera prima che collettivamente si raggiunga la soglia degli 1,5°C. Ora, Hare fa notare che stimare il carbon budget non è solo complesso, ma c’è anche poco accordo a livello scientifico su come calcolare questo parametro. Tanto che lo scienziato cita alcuni studi recenti in cui vengono sì fornite delle stime, ma specificando che il margine d’errore può essere anche del 50%. Per tutte queste ragioni sarebbe perlomeno avventata l’affermazione del Climate Council.
La curva del riscaldamento globale
Ma veniamo al rapporto. Le fonti su cui si basa il Climate Council per affermare che siamo destinati a sforare l’accordo di Parigi entro questo decennio sono essenzialmente quattro.
Primo, l’aumento delle temperature basato sulle serie storiche e le proiezioni future basate su di esse. A cui si aggiunge il cambiamento climatico ‘già in cantiere’ per così dire, cioè l’aumento futuro delle temperature globali che deriva dalla situazione attuale ma che diventerà visibile ed evidente solo nei prossimi anni con l’innescarsi di meccanismi di feedback positivo (ad esempio, con lo scioglimento del permafrost artico o la mutazione di alcuni ecosistemi da serbatoi e produttori netti di carbonio). Secondo il rapporto, le emissioni accumulate fino al 2020 potrebbero da sole far superare la soglia inferiore di Parigi.
Secondo fattore sono le stime aggiornate della sensibilità climatica fornite dal World Climate Research Programme. La sensibilità climatica di equilibrio (Equilibrium climate sensitivity, ECS) indica l’aumento delle temperature medie globali in atmosfera nel lungo periodo in funzione di un raddoppio del valore della concentrazione di CO2 nell’aria. Finora l’IPCC stimava questo incremento della temperatura in un ventaglio che va dagli 1,5 ai 4,5°C. Per l’IPCC quindi è ancora possibile contenere il riscaldamento globale sul valore inferiore dell’accordo di Parigi anche se l’anidride carbonica in atmosfera continua ad aumentare. Le nuove stime del WCRP tengono inalterato il margine superiore dell’IPCC, ma rivedono al rialzo quello inferiore, facendolo salire a 2,3°C.
Gli altri due fattori presi in considerazione dal Climate Council sono il confronto con gli impatti del cambiamento climatico nel passato e analisi del rimanente carbon budget globale. Il contributo della paleoclimatologia può essere effettivamente importante per costruire dei modelli predittivi del clima più accurati e non a caso ci sono molti studi che partono proprio dallo studio del clima antico per trarre informazioni sul nostro futuro. Con valori di concentrazione di CO2 in atmosfera come quelli attuali, in alcune epoche del passato le temperature globali, il livello dei mari e altri parametri erano decisamente peggiori di quelli attuali. Difficile però stimare con cura una traiettoria plausibile per il nostro tempo, anche se la paleoclimatologia resta comunque uno strumento prezioso. Sul carbon budget valgono i caveat sull’incertezza delle misurazioni ricordati in precedenza.
La conclusione a cui arriva il rapporto è che “diverse linee di evidenza contribuiscono all’argomentazione che non possiamo limitare l’aumento della temperatura superficiale media globale a 1,5°C al di sopra del livello preindustriale, considerato come la media 1850-1900, senza un significativo superamento e conseguente abbassamento”. Cioè la curva di cui si parlava all’inizio.
Che fare?
Visto dalla prospettiva degli autori, quindi, il bicchiere è sia mezzo vuoto che mezzo pieno. Non possiamo evitare di superare il primo limite, ma possiamo fare molto per appiattire la curva e per farla tornare velocemente sotto gli 1,5°C. Azione necessaria e urgente: “Se le temperature dovessero superare 1,5°C per un periodo di tempo significativo, gli ecosistemi critici da cui dipendiamo (come la Grande Barriera Corallina) sarebbero danneggiati o distrutti ancora più gravemente”, afferma il rapporto.
Appiattire la curva significa limitare i danni. “Ogni frazione di grado di riscaldamento evitato è importante e sarà misurata in vite, specie ed ecosistemi salvati”, anche se per gli autori è necessario fare un reality check e prepararsi “anche per gli impatti climatici che non possono più essere evitati”. Tutto questo, con la consapevolezza che sforare la soglia stabilita a Parigi ci può portare in territori in gran parte inesplorati, con meccanismi e impatti difficili da prevedere con esattezza. Superare il limite inferiore dell’accordo di Parigi “aumenta in modo significativo il rischio di innescare cambiamenti bruschi, pericolosi e irreversibili nel sistema climatico”.
Da qui l’urgenza di stimolare l’azione climatica e di prendere decisioni coraggiose e lungimiranti. Il grosso delle riduzioni delle emissioni deve avvenire già entro questo decennio, scrive il Climate Council. Che bacchetta la proliferazione di impegni a raggiungere la neutralità climatica da parte di Stati e soprattutto aziende, banche e fondi di investimento: generalmente l’orizzonte temporale è troppo lontano, si tratta di piani poco efficaci che dovrebbero essere riscritti. Il termine ultimo dovrebbe essere anticipato al 2040, non oltre: “Se vogliamo proteggere le persone, le nostre comunità e gli ecosistemi da cui dipendiamo per la nostra sopravvivenza, allora tutte le emissioni di gas serra devono essere ridotte rapidamente e profondamente tagliate di oltre la metà a livello globale nel prossimo decennio, con il mondo che deve raggiungere la neutralità climatica entro il 2040 al più tardi”.