Lo stretto di Nares è fondamentale per regolare il deflusso di ghiaccio dall’Artico
(Rinnovabili.it) – Con la loro forma ad arco creano una barriera che rallenta il deflusso di ghiaccio dall’Artico durante i mesi estivi. E limitano lo scioglimento del Polo Nord. Ma il riscaldamento globale sta indebolendo queste strutture, che si sono assottigliate sempre di più e più rapidamente nel corso degli ultimi 20 anni.
Il ruolo di questi archi è essenziale per regolare quanto ghiaccio defluisce dall’Artico durante l’estate. Sono formazioni che si trovano nello stretto di Nares, un vero collo di bottiglia largo circa 40 km tra la Groenlandia e il Canada. La loro struttura permette di trattenere gli iceberg perché scarica il peso alle estremità, esattamente come avviene per qualsiasi arco utilizzato in un edificio.
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Ma gli archi ghiacciati dello stretto di Nares sono anche l’ultima barriera difensiva per il ghiaccio artico che occupa il mare di Lincoln. Si tratta della porzione di calotta polare più antica e più spessa. E quindi anche più preziosa per la ricostituzione dell’estensione della coltre polare con l’arrivo dell’autunno. Tale ghiaccio, spiegano gli autori dello studio pubblicato su Nature Communications, può essere perso rapidamente se viene meno la ‘diga’ di Nares.
Nella ricerca, ricostruisce Kent Moore dell’università di Toronto, si dimostra che ” la durata media di questi archi diminuisce di circa una settimana ogni anno”, passando dai 250-200 giorni di inizio millennio agli appena 150-100 attuali. Un dato che è strettamente correlato con l’aumento del deflusso di ghiaccio in quell’area: “dagli anni ’90 ai primi anni 2000, stavamo perdendo circa 42.000 km2 di ghiaccio all’anno attraverso lo stretto di Nares”, continua Moore, “e ora è raddoppiato: stiamo perdendo 86.000 km2″.
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Quando gli archi sono nel loro massimo spessore e sono ‘in posizione’, generalmente da gennaio in poi, sono in grado di interrompere completamente il flusso di ghiaccio attraverso lo stretto. Resta attivo quindi solo lo stretto di Fram, tra Groenlandia e le Svalbard.
“La mia preoccupazione è che quest’ultima zona di ghiaccio potrebbe non durare quanto pensiamo. Questo è ghiaccio che ha cinque, sei, anche 10 anni; quindi se lo perdiamo, ci vorrà molto tempo per ricostituire anche se alla fine riusciamo a raffreddare il pianeta“, conclude Moore.