L’analisi conferma che le Alpi sono un hotspot del cambiamento climatico
(Rinnovabili.it) – Le temperature minime e massime sulle Alpi aumentano al ritmo di 0,5°C ogni 10 anni. Mentre l’incremento delle temperature medie è in piena accelerazione: rispetto ai valori del trentennio 1961-1990, le medie sono cresciute di 0,3°C nel 1971-2000, di 0,5°C nel 1981-2010, e di 0,9°C nel 1991-2020. I dati raccolti dal CNR e pubblicati sul Journal of Mountain Science a metà agosto confermano che il riscaldamento globale sulle Alpi corre più che altrove. A livello globale, la temperatura media oggi aumenta infatti di 0,16°C ogni decennio.
Se il tasso di emissioni di gas serra continuerà ai ritmi attuali, la media del periodo 2001-2030 arriverà a +1,5°C rispetto al trentennio di riferimento ’61-’90 (+0,6°C rispetto al 1991-2020). Con un valore medio che arriverà molto vicino allo zero: -0,2°C. Per arrivare a questi dati, gli autori dello studio, Guido Nigrelli e Marta Chiarle, hanno analizzato i dati di 23 stazioni meteorologiche sparse su tutto l’arco alpino e comprese tra i poco più di 1500 metri di quota di Davos e gli oltre 3500 metri di Jungfraujoch, entrambe località svizzere.
Minime e massime sono in rapida crescita soprattutto in estate e autunno. Il tasso decennale di aumento nei mesi estivi è, rispettivamente, di +0,5 e +0,7°C, mentre in autunno è di +0,6 e +0,7°C. Le medie annuali delle minime salgono di 4 decimali ogni 10 anni, le medie delle massime di 5 decimali. In calo, invece, i giorni in cui le massime non superano lo zero (icing days) e quelli in cui le minime restano sotto zero (frost days). Nel primo caso è la primavera la stagione che perde più giorni di gelo, mentre nel secondo sono l’estate e l’autunno. Un trend interessante è quello che riguarda i valori massimi delle temperature minime giornaliere: più si sale di quota, più crescono le anomalie.
Le cause regionali del riscaldamento globale sulle Alpi
Su scala regionale, la causa principale a cui lo studio attribuisce il riscaldamento globale sulle Alpi è una riduzione “drastica” dell’effetto albedo. Meno neve significa rocce e terra esposte, quindi una maggior quantità di radiazione solare trattenuta per via dei colori più scuri (la neve e il ghiaccio, più chiari, riflettono di più i raggi solari). Lo stesso meccanismo viene innescato dalla presenza di rocce e massi di origine glaciale, derivati dalla progressiva e inesorabile scomparsa dei ghiacciai.
Ma gioca un ruolo anche l’interferenza umana diretta, attraverso l’urbanizzazione a quote sempre più elevate avviata negli anni ’70, il maggior numero di impianti di riscaldamento in attività e le conseguenti isole di calore che si creano e incidono su un ambiente fragile come quello alpino.