La mappa globale delle soluzioni per la rimozione di anidride carbonica fissa la capacità attuale a -2,2 miliardi di tonnellate l’anno. Per rispettare gli obiettivi climatici, entro metà secolo deve salire a 7-9 mld t
Le tecnologie CDR come DAC e BECCS contribuiscono con appena 1,3 mln t CO2 l’anno
Per centrare gli obiettivi sul clima, la capacità delle soluzioni tradizionali e innovative per la rimozione di CO2 deve quadruplicare. Oggi i carbon dioxide removals (CDR) basati sulla natura – riforestazione, afforestazione, … – e basati su soluzioni tecnologiche – come la cattura diretta di CO2 dall’aria o dall’oceano – riescono appena a sequestrare 2,2 miliardi di tonnellate di CO2 (GtCO2) ogni anno. Negli scenari in cui la capacità CDR è sostenibile, cioè non entra in competizione con gli ecosistemi e altri usi dei terreni, il volume entro il 2050 deve arrivare a 7-9 GtCO2.
Moltiplicare per un fattore quattro la rimozione di CO2 a livello globale richiede più allineamento dei piani nazionali agli obiettivi climatici e un aggiustamento delle risorse destinate alle diverse soluzioni. È quanto emerge dal secondo rapporto State of carbon Dioxide Removal rilasciato il 5 giugno, la più completa mappa globale dello stato dell’arte sulla CDR.
Rimozione della CO2, chiudere il gap in modo sostenibile
Uno dei punti deboli è il “divario tra la quantità di CDR negli scenari che soddisfano l’obiettivo di temperatura di Parigi e la quantità di CDR nelle proposte nazionali”, nota il rapporto curato dall’università di Oxford. Analizzando le policy nazionali sulle soluzioni convenzionali, al 2030 si prevede una capacità CDR di 2,6 GtCO2 l’anno, che passerebbero nel 2050 a 3,4 GtCO2. Ma nei tre scenari diversi ipotizzati dal rapporto, che variano il mix di soluzioni convenzionali e innovative e rispettano il Paris Agreement, il gap al 2030 è di almeno 0,4 GtCO2 l’anno (e può salire fino a 3,7), mentre a metà secolo sarebbe di almeno 1,4 GtCO2.
“Il divario CDR può essere colmato riducendo rapidamente le emissioni, ampliando il portafoglio di metodi CDR sia convenzionali che nuovi e integrando esplicitamente considerazioni di sostenibilità nelle policy CDR”, sottolineano gli autori. Che cercano di bilanciare il messaggio dello studio.
Da un lato, riconoscendo l’assoluta importanza di ridurre le emissioni alla fonte, e quindi di puntare sulla rimozione della CO2 solo come un’opzione complementare e residuale. Dall’altro, sottolineando rischi e benefici di non sviluppare un giusto mix di soluzioni CDR, puntando troppo su quelle tradizionali (con impatti negativi su ecosistemi e sicurezza alimentare) o affidandosi eccessivamente a quelle tecnologiche (spesso una scappatoia per rallentare la riduzione delle emissioni).
Queste ultime, oggi, hanno una capacità di sequestro di CO2 minima, 1,3 milioni di tonnellate l’anno, meno dell’1% della capacità totale attuale. E secondo gli autori dovrebbero essere supportate da politiche ad hoc e un flusso di investimenti adeguato. Che invece è in calo, fin dal 2020. Nel 2023 queste soluzioni tecnologiche hanno racimolato appena 850 milioni di dollari, meno dell’1% di tutti gli investimenti in clean tech.