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Il record di caldo degli oceani? È anche colpa della nostra “geoingegneria”

Record caldo oceani: raggiunti 20,96°C, quali sono le cause?
By European Space Agency – https://www.esa.int/spaceinimages/Images/2018/02/Atlantic_ship_tracks, CC BY-SA 3.0 igo, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=66270612

Atlantico del Nord e Mediterraneo sono tra i mari con le anomalie maggiori

(Rinnovabili.it) – Dopo la temperatura globale dell’aria è la volta dei mari. Il 1 agosto, il sistema satellitare europeo ha registrato una temperatura media della superficie dei mari in tutto il mondo di 20,96°C. È il nuovo record di caldo degli oceani, che supera di appena un centesimo di grado il primato precedente del 29 marzo 2016 (stabilito nel bel mezzo di un El Niño di forte intensità).

“Dovrebbe essere marzo il momento in cui gli oceani a livello globale sono più caldi, non agosto o settembre. Il fatto che abbiamo visto il record ora mi rende nervosa su quanto più caldo l’oceano potrebbe diventare tra oggi e il prossimo marzo”, afferma alla BBC Samantha Burgess di Copernicus.

Cosa ci ha portato al nuovo record di caldo degli oceani?

Il record di caldo degli oceani a livello globale è reso possibile da alcune anomalie molto pronunciate. Anche nei mari europei. La temperatura dell’Atlantico del Nord è rimasto costantemente su livelli mai raggiunti prima dall’inizio di marzo e il 29 luglio ha raggiunto quota 25 gradi. Il record precedente era di 24,9°C ma l’aspetto più sorprendente è che il picco delle temperature in questo quadrante si raggiunge, di norma, tra la seconda metà di agosto e i primi giorni di settembre. Pochi giorni prima, il 26 luglio, il record l’ha segnato il Mediterraneo con 28,71°C, battendo anche il valore altamente anomalo raggiunto nel 2003.

In alto le temperature in Atlantico del Nord, in basso quelle nel Mediterraneo. Crediti Climate Reanalyzer e CEAM

Quale sia l’esatto intreccio di fattori che ha portato al record di caldo degli oceani non è ancora del tutto chiaro. Sicuramente, una delle concause è l’inizio di El Niño nel Pacifico, che è un fenomeno naturale. Quanto e in che modo il cambiamento climatico di origine antropica abbia svolto un ruolo, invece, resta da appurare, anche se è certo che l’emissione di gas serra – soprattutto a causa della combustione di fossili – sia tra gli imputati principali.

Zolfo, vapore acqueo e taglio delle emissioni

Una delle ipotesi, però, è che al primato abbia contribuito la nostra lotta alle emissioni. In particolare quelle generate dalle navi. Dal 2020, infatti, i nuovi regolamenti imposti dall’Organizzazione marittima mondiale (IMO) hanno imposto alle compagnie di navigazione di tagliare in modo drastico gli ossidi di zolfo. Il calo in tre anni è dell’80%.

Ma questa variazione sta avendo delle ripercussioni sulle nuvole, in particolare su una specie di nuvole chiamate “ship track”. Le particelle rilasciate dalle navi, infatti, permettono al vapore acqueo di accumularsi attorno a essere e quindi di formare una copertura nuvolosa, che tipicamente assume una forma molto allungata, come fosse la scia della nave.

In altre parole: fino al 2020 creavamo artificialmente delle nuvole che riflettevano nello spazio parte della radiazione solare e contribuivano a raffrescare il Pianeta. Tagliare le emissioni inquinanti si è rivelato, tra le altre cose, un esperimento di “geoingegneria” su vasta scala. Che ha effetti particolarmente visibili proprio nei settori dove si concentrano i principali corridoi navali. Qui, è stato calcolato, la radiazione solare aggiuntiva aumenta del 50% il riscaldamento globale di origine antropica.

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