Aumenterà il divario nel rating sovrano tra nord e sud del continente
(Rinnovabili.it) – I paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo rischiano veder crollare il loro rating sovrano sotto i colpi dei disastri climatici. Ben più dei loro vicini dell’Europa centrale, orientale e settentrionale. Un rapporto di Scope Ratings accende i riflettori su uno dei tanti “effetti collaterali” del cambiamento climatico in ambito finanziario che può avere ricadute concretissime e pesanti sull’economia reale.
Da dove ha origine questa tempesta perfetta che spingerebbe agenzie come Moody’s e Standard & Poor’s a rivedere al ribasso il rating sovrano dei paesi mediterranei? I costi legati al clima che cambia stanno diventando più rilevanti per il rischio sovrano e questo processo accelererà man mano che gli eventi distruttivi diventeranno sempre più frequenti e di vasta portata, spiegano gli autori.
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Da un lato, eventi estremi più intensi e frequenti, che si abbatteranno in misura maggiore sulla sponda sud del continente. Il Mare Nostrum, infatti, è un hotspot di riscaldamento globale e le siccità, gli incendi, le ondate di calore e i cicloni mediterranei che stiamo già vedendo in questi anni sono un assaggio di quello che ci riserva il futuro.
Dall’altro lato, poca spesa per misure di adattamento e mitigazione e prospettive davvero fosche per alcuni settori che trainano queste economie. A partire da agricoltura e turismo.
“Le economie mediterranee sono altamente dipendenti proprio da quei settori che molto probabilmente saranno colpiti da un clima più estremo”, spiegano gli autori. “Il contributo totale di agricoltura, pesca, silvicoltura e turismo al PIL è di circa il 10% per i paesi dell’Europa meridionale”, ma non bisogna dimenticare che “il turismo costiero è particolarmente a rischio date le interruzioni associate alle tempeste gravi ai trasporti, all’energia e alle forniture di acqua su cui il settore fa affidamento”.
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I rischi per il rating sovrano sono concreti, avverte il rapporto, anche perché finora i paesi che sono stati colpiti di più dai disastri climatici non hanno affatto aumentato la spesa per la tutela dell’ambiente e per adattamento e mitigazione. E da questo punto di vista, il Recovery Fund rischia di essere un’occasione persa. Più di un terzo della spesa (il 37%) va in misure per la transizione ecologica, è vero, ma non ci sono abbastanza fondi per limitare l’impatto dei disastri climatici nei prossimi decenni, prima di raggiungere la neutralità climatica.
“Tali investimenti sosterranno la transizione verso economie a basse emissioni di carbonio, mitigando i rischi fisici nel lungo periodo, ma avranno un impatto limitato sui costi associati ai disastri naturali nel breve e medio periodo”.