Due i punti più caldi: la necessità di dire velocemente addio alle fossili e l’utilità o meno del CCS. Sono soprattutto Arabia Saudita, Giappone e Australia a premere per cambiare le raccomandazioni finali del dossier che fonda la base scientifica della politica climatica globale. Ma pressioni arrivano anche da blocco Opec, Argentina, Cina e Norvegia
Intensa attività di lobbying sugli autori del rapporto IPCC
(Rinnovabili.it) – Una campagna serrata di pressioni sugli scienziati per cambiare le loro conclusioni nel rapporto IPCC. Arabia Saudita, Giappone e Australia sono i paesi che più di tutti hanno provato a forzare la mano alla scienza del clima quest’estate, quando gli autori del rapporto del Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici dell’Onu stavano stilando le raccomandazioni per i politici.
Tentativi fatti per proteggere i propri interessi e lo status quo, senza nessun appiglio alla scienza climatica di cui il rapporto IPCC, la cui prima parte è stata pubblicata il 9 agosto, rappresenta la summa. Questo dossier e le sue conclusioni sono il punto di riferimento globale per ogni politica su clima ed energia e segnano il ritmo necessario per compiere la transizione energetica rispettando l’accordo di Parigi.
A rivelare le macchinazioni è la BBC, che ha messo le mani su 32.000 documenti che attestano le richieste degli Stati agli autori del dossier Onu. Da un lato, queste richieste fanno parte di una procedura standard: gli autori presentano le loro raccomandazioni in via riservata agli Stati e ne ricevono commenti. Dall’altro lato, avere accesso a queste richieste significa poter misurare la distanza tra le dichiarazioni pubbliche e le intenzioni reali dei vari paesi.
Le mani sul rapporto IPCC
A giudicare dal numero di commenti e richieste di modifica, il punto più scottante è il ritmo dell’addio ai combustibili fossili. Un consigliere del ministero del Petrolio saudita, riporta la BBC, chiede che “frasi come ‘la necessità di azioni di mitigazione urgenti e accelerate a tutte le scale…’ dovrebbero essere eliminate dal rapporto”.
Un alto funzionario del governo australiano, invece, rifiuta la conclusione che sia necessaria la chiusura delle centrali elettriche a carbone, anche se porre fine all’uso del carbone è uno degli obiettivi dichiarati dalla conferenza COP26. Uno scienziato di un istituto parastatale indiano argomenta che il carbone non deve sparire perché è necessario per produrre elettricità a buon mercato.
Ed è ancora l’Arabia Saudita, tra i paesi più attivi nonché il più grande esportatore di petrolio al mondo, a tornare sul phase out delle fossili. Lo Stato arabo chiede agli scienziati di cancellare la loro conclusione del rapporto IPCC secondo cui “l’obiettivo degli sforzi di decarbonizzazione nel settore dei sistemi energetici deve essere quello di passare rapidamente a fonti a zero emissioni di carbonio e di eliminare gradualmente i combustibili fossili”. Ma su questa frase hanno da ridire anche Argentina, Norvegia e il blocco dei paesi Opec.
Tutti i fan del CCS
Ma c’è un altro punto caldissimo che emerge dagli oltre 30mila documenti che Greenpeace ha passato alla BBC: un’attività di lobby sfrenata per far dire al rapporto IPCC che il CCS è necessario, quasi una cura miracolosa per la crisi climatica. La cattura e lo stoccaggio di CO2 nel sottosuolo è una tecnologia emergente, ancora molto costosa, che promette di abbattere le emissioni non riducendole alla fonte ma “nascondendole” in depositi geologici. Una soluzione che giustificherebbe, secondo alcuni, di continuare a pompare gas, petrolio e carbone al ritmo di sempre. Per altri, nient’altro che un modo nemmeno troppo raffinato di fare del greenwashing e blindare lo status quo.
Non è un caso che gli sponsor principali del CCS siano, normalmente, le grandi compagnie energetiche. E gli Stati più legati a quest’industria. Il leak svelato dalla BBC mostra che sono Arabia Saudita, Cina, Australia e Giappone, oltre all’Opec, i più attivi nel cercare di convincere gli autori del rapporto IPCC a inserire la cattura e lo stoccaggio di anidride carbonica tra le raccomandazioni finali, e con il dovuto rilievo.
Tentativi che non sono andati del tutto a buon fine. Il rapporto IPCC menziona il CCS, ma riporta anche tutti i dubbi della scienza sull’utilità di questa soluzione per centrare gli obiettivi di Parigi. Secondo gli autori, l’utilità di questa tecnologia – che prolunga di fatto la vita delle fossili – è ancora molto controversa se letta sullo sfondo del contenimento del global warming entro i 2 gradi o, ancor di più, entro gli 1,5°C. (lm)