Tipping point e scenari climatici, un nuovo studio su Nature Communications
Uno dei messaggi ripetuti più spesso dagli scienziati del clima è “ogni decimo di grado conta”. Anche se gli obiettivi dell’Accordo di Parigi prendono due soglie di riscaldamento globale – 1,5 e 2°C – come riferimento, il percorso seguito per rispettarle cambia, e molto, l’impatto che la crisi climatica avrà sul Pianeta e sulle società. Restare sotto 1,5 gradi non equivale a sforare anche solo per pochi decenni questo valore per poi rispettarlo entro il 2100. Così come mantenere il global warming a 1,5 o 2 gradi implicano scenari molto diversi. Uno studio appena pubblicato su Nature Communications spiega cosa può cambiare con pochi decimi di grado in più o in meno, e con periodi di sforamento più o meno lunghi. E lo fa concentrandosi sui punti di non ritorno climatici.
Come funzionano i tipping point del clima
I punti di non ritorno climatici, o tipping point, sono una serie di cambiamenti radicali e sostanzialmente irreversibili (su scala temporale umana) del sistema climatico della Terra. Si tratta di cambiamenti come il rallentamento o l’interruzione del capovolgimento meridionale della circolazione atlantica (AMOC), lo scioglimento della calotta glaciale della Groenlandia o della porzione occidentale dell’Antartide, o ancora il deperimento progressivo della foresta amazzonica.
Come funzionano i tipping point? I punti di non ritorno climatici sono cambiamenti che, una volta innescati, producono effetti globali sugli altri elementi che costituiscono il sistema climatico della Terra. Questi effetti non smettono di prodursi né si mitigano anche se, in breve tempo dopo l’innesco del tipping point, la temperatura globale inizia a scendere. Ciò accade perché il clima della Terra passa ad un nuovo stato di equilibrio, radicalmente diverso da quello precedente.
L’importanza dei tipping point per le politiche sul clima
Perché è importante considerarne gli effetti negli scenari climatici? Studiare a quali condizioni si possono innescare i tipping point è fondamentale per calibrare le politiche climatiche e valutare con precisione l’impatto più probabile dei diversi scenari emissivi. In particolare, oggi, è utile studiare i punti di non ritorno climatici per stimare quali possono essere le conseguenze di uno sforamento, anche solo temporaneo, della soglia di 1,5°C. Ovvero, lo scenario più probabile, secondo l’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) pubblicato nel 2021-2023.
La probabilità di innescare punti di non ritorno climatici: 10 scenari
Il nuovo studio calcola la probabilità di innescare i 4 punti di non ritorno climatici citati in precedenza, cioè quelli che l’IPCC ritiene più probabili, al variare della traiettoria del riscaldamento globale. Lo fa considerando 10 diversi scenari, che vanno dall’assenza di sforamento (overshoot) di 1,5 gradi fino a un global warming di 3,3°C al 2100. Quest’ultimo scenario non è il più “catastrofico”: è la traiettoria su cui sarebbe il mondo con le politiche climatiche in vigore nel 2020.
Inoltre, per ciascuno scenario, gli autori dello studio valutano le conseguenze, in termini di probabilità di innesco dei tipping point e di momento di stabilizzazione del clima (cioè il raggiungimento del nuovo stato di equilibrio) con due orizzonti temporali: a medio termine, ovvero tra il 2100 e il 2300, e a lungo termine, ovvero nel corso dei prossimi 50.000 anni.
Secondo lo studio, la traiettoria emissiva peggiore è quella basata sulle politiche climatiche in vigore al 2020. Suppone, quindi, di raggiungere 3,3°C nel 2100, per poi ritornare a 1,5 gradi di riscaldamento globale nel 2300. In questo scenario la probabilità di innescare punti di non ritorno climatici è del 45% entro il 2300 e del 76% nei successivi 50mila anni. Il motivo? È quello che prevede lo sforamento più corposo e duraturo.
I 5 scenari analizzati che non riescono a riportare la temperatura globale sotto la soglia di 1,5 gradi entro fine secolo hanno la maggiore probabilità di innescare tipping point nei 200 anni successivi. Anche nello scenario migliore, l’unico ce non prevede alcuno sforamento, la probabilità di innescarli è al 50% nel corso dei successivi 50mila anni.
Più in dettaglio, gli autori calcolano che, per un riscaldamento globale compreso tra 1,5 e 2 gradi, ogni decimo di grado di temperatura in più fa crescere la probabilità di innescare tipping point dell’1-1,5%. Superata la soglia di 2,5°C, invece, ogni 0,1°C in più aumenta la probabilità del 3%. Il collasso dell’AMOC e il deperimento dell’Amazzonia sono i fenomeni che possono essere innescati per primi: rispettivamente, tra 15-300 anni e tra 50-200 anni, a seconda dello scenario climatico. Il collasso delle calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartide occidentale, invece, sono in una forchetta temporale di 1.000-15.000 anni e 500-13.000 anni.