I risultati della COP29 di Baku ci hanno bombardato di stime su quanta finanza per il clima serve ai paesi meno sviluppati per affrontare la crisi climatica. Dai 1.300 miliardi di dollari l’anno ipotizzati dall’Onu, di cuila parte per l’adattamento arriva da sola a 215-387 miliardi, fino ai 7.400 miliardi proposti da Climate Policy Initiative. Se queste cifre ci sembrano elevate, uno studio recente del DOE/Pacific Northwest National Laboratory avverte: possono diventare molto più pesanti. Se si superano dei tipping point, i punti di non ritorno climatici, i costi di invertire gli effetti del cambiamento climatico diventano anche 4 volte più alti di quelli delle azioni di prevenzione.
Navigare l’incertezza dei punti di non ritorno climatici
Questo lavoro si muove su un terreno dove di certezze ne esistono molto poche. La scienza del clima è ancora abbastanza divisa su quanto è probabile innescare i tipping point climatici, e dove si trova esattamente la soglia di non ritorno.
L’ultimo rapporto dell’IPCC, il Panel intergovernativo dell’Onu sul cambiamento climatico, ha iniziato a concentrarsi molto più che in passato su questo tipo di eventi. Li definisce “una soglia critica oltre la quale un sistema si riorganizza, spesso bruscamente e/o irreversibilmente” e dà la probabilità maggiore a tipping point come lo scioglimento del permafrost, il rallentamento della circolazione dell’oceano Atlantico e la fusione della calotta glaciale della Groenlandia.
Ancora più complesso è prevedere con sufficienze esattezza il comportamento di un sistema complesso – quello del clima della Terra – e le ripercussioni su altri sistemi altrettanto complessi, come quelli che caratterizzano la biosfera.
Spesa climatica 4 volte maggiore se superiamo i tipping point
I ricercatori del DOE hanno utilizzato modelli matematici semplificati per descrivere i comportamenti fondamentali dei tipping point, fornendo intuizioni che potrebbero guidare piani d’intervento futuri. Per identificare i punti di non ritorno climatici imminenti, operazione difficile, gli autori si basano sulla valutazione di “precursori osservabili”, cioè fattori che possono contribuire a dare segnali di allerta precoce.
Il risultato principale dello studio è semplice: c’è un’asimmetria evidente e sostanziosa tra danno e ripristino. Invertire il cambiamento climatico richiede sforzi maggiori rispetto a quelli necessari per causarlo. Ad esempio, suggerisce lo studio, se il riscaldamento globale scioglie completamente il ghiaccio marino entro il 2100, potrebbe non bastare riportare le emissioni ai livelli attuali del 2024 per ripristinarlo.
I ricercatori individuano anche una cosiddetta “finestra di overshoot”. È una sorta di periodo di tempo che fa da cuscinetto prima che la spesa climatica schizzi verso l’alto. Dopo il superamento di un punto di non ritorno climatico, spiegano gli autori, c’è un intervallo di tempo in cui i costi di intervento crescono in modo lineare anziché esponenziale. L’intervallo è determinato da fenomeni come il lento riscaldamento delle acque oceaniche. Tuttavia, i costi climatici aumentano drasticamente una volta superata questa finestra.