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Pozzi di carbonio, le foreste tropicali non sono più i polmoni verdi del Pianeta

Pozzi di carbonio: le foreste boreali temperate giovani sono i migliori
Foto di Joel Vodell su Unsplash

Lo studio apparso su Nature Geoscience dà una nuova stima della variazione della biomassa

(Rinnovabili.it) – L’Amazzonia non è più il polmone verde del Pianeta. Così come non lo sono le altre foreste tropicali. Quelle che finora sono state ritenute tra i migliori pozzi di carbonio del mondo. Deforestazione, incendi, siccità, pressioni dell’agribusiness le hanno ormai rese pressoché carbon neutral: stoccano nel terreno e nella biomassa più o meno la stessa quantità di CO2 che emettono. Lo stato di degrado è così avanzato che i veri polmoni verdi, oggi, sono le foreste boreali temperate, quelle che si trovano alle medie latitudini tra America del Nord, Europa e Asia centro-settentrionali.

Lo afferma uno studio apparso su Nature Geoscience in cui un team di ricercatori coordinato dal Laboratoire des Sciences du Climat et de l’Environnement del CEA francese ha analizzato le variazioni nella biomassa delle foreste globali. Variazioni che sono direttamente correlate alla capacità delle foreste di stoccare CO2.

I migliori pozzi di carbonio? Contano disturbi antropici ed età

A livello globale, le scorte di carbonio nella biomassa sono aumentate dal 2010 al 2019 a un tasso di 0,50 ± 0,20 miliardi di tonnellate l’anno (Gt/anno). Rispecchiando da vicino le osservazioni del tasso di crescita globale della CO2 atmosferica. Ma non in modo uguale ovunque. “I principali contributori al bacino globale di carbonio sono le foreste boreali e temperate, mentre le foreste tropicali umide sono piccole fonti di carbonio”, a causa soprattutto di deforestazione e disturbi legati all’agricoltura.

A pesare sulla capacità o meno di essere dei buoni pozzi di carbonio è anche l’età delle foreste. “Abbiamo scoperto che le foreste tropicali di vecchia crescita (>140 anni) deforestate e degradate sono quasi a zero emissioni di carbonio, mentre le foreste temperate e boreali giovani (< 50 anni) e di mezza età (50-140 anni) sono i più grandi pozzi”, scrivono gli autori dello studio. Un risultato che contraddice l’idea, diffusa, che le foreste a più vecchia crescita siano anche le migliori in quanto a capacità di stoccare CO2.

I modelli oggi in uso, sottolineano gli autori, “mostrano che tutte le foreste antiche sono grandi pozzi e ignorano in gran parte gli impatti della deforestazione e del degrado sulla biomassa tropicale. I nostri risultati evidenziano l’importanza della demografia forestale nel prevedere le dinamiche dei futuri serbatoi di carbonio in condizioni di cambiamento climatico”.

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