Carbon offset e riforestazione, palliativi contro la crisi climatica?
Piantare alberi è davvero la soluzione migliore contro la crisi climatica? Le compensazioni di carbonio, cioè la promozione di progetti di ri- e afforestazione che ‘neutralizzano’ le emissioni prodotte sono uno strumento su cui possiamo fare affidamento? A queste domande un nuovo studio dell’Imperial College di Londra risponde con un secco no. Il motivo? Stiamo sovrastimando molto la capacità delle piante di trattenere il carbonio che sequestrano dall’atmosfera. E stiamo sottostimando la loro vulnerabilità al cambiamento climatico.
Crisi climatica e sequestro di CO2: i modelli sbagliano
Il problema risiede nei modelli oggi più accreditati per quantificare la capacità di assorbimento di CO2 dall’aria da parte della vegetazione. La misurazione avviene tramite la produttività primaria netta, cioè il tasso a cui le piante trasformano il carbonio sequestrato in nuovi tessuti e altre parti dei loro organismi. Ma questo indicatore è costruito sulla base di relativamente poche osservazioni in siti ben localizzati. In altre parole, non è una buona misura di ciò che accade davvero a livello globale.
Per testare se i modelli rispecchiano accuratamente la situazione reale, un gruppo di ricercatori dell’Imperial College si è affidato al tasso di sequestro, a livello globale, del carbonio 14. Questo isotopo radioattivo è prodotto naturalmente, ma è anche generato dalle detonazioni nucleari. Gli scienziati hanno valutato il ritmo di sequestro in un periodo particolare: tra il 1963 e il 1967, quando era disponibile un ‘surplus’ artificiale di C14 dovuto ai numerosi test atomici svolti negli anni precedenti.
Aspetto cruciale: la disponibilità dell’isotopo era globale, per cui calcolarne la velocità di sparizione dall’atmosfera consente di misurare un valore medio mondiale della capacità di sequestro delle piante.
Il risultato? I modelli sbagliano su tutti i fronti. Le piante riescono, in media, ad assorbire più velocemente del previsto il carbonio dall’atmosfera. Ma questa maggior rapidità si accompagna ad un’analoga velocità nel rilasciarlo di nuovo in atmosfera. Ne incamerano di più e più in fretta, ma ne rilasciano anche più velocemente del previsto.
“Il nostro studio suggerisce che il carbonio immagazzinato nelle piante viventi non rimane lì per tutto il tempo che pensavamo. Sottolinea che il potenziale per progetti di rimozione del carbonio basati sulla natura è limitato e che le emissioni di combustibili fossili devono essere ridotte rapidamente per ridurre al minimo il rischio dell’impatto della crisi climatica”, concludono gli autori.