70 gli Stati virtuosi che hanno rispettato la scadenza del 31 dicembre per presentare i nuovi obiettivi climatici
(Rinnovabili.it) – La maggior parte dei paesi non ha aggiornato gli obiettivi climatici entro la scadenza del 31 dicembre 2020. Sono soltanto 70 gli Stati che hanno rispettato l’obbligo stabilito con l’accordo di Parigi, il cosiddetto ‘rachet mechanism’. In base a questo meccanismo, gli impegni sul clima di ogni paese devono essere rivisti al rialzo a scadenza quinquennale.
Tra i maggiori emettitori mondiali, soltanto i 27 paesi dell’Unione Europea, la Gran Bretagna e l’Argentina hanno presentato nuovi obiettivi climatici. Gli impegni aggiornati pesano appena per il 28% delle emissioni globali, secondo i calcoli del World Resource Institute.
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All’appello mancano i due big, Stati Uniti e Cina. Nel caso di Washington bisognerà aspettare l’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca e il pieno ritorno degli USA nell’accordo di Parigi, che comunque potrà avvenire in tempi brevissimi. Nel caso della Cina, invece, i nuovi obiettivi probabilmente avranno tempistiche legate alla presentazione del nuovo piano quinquennale, previsto per marzo.
Oltre a Washington e Pechino, tra i grandi emettitori latitano anche l’India che fatica a rinunciare al carbone, il Canada di Justin Trudeau che tenta di salvare l’industria nazionale degli idrocarburi non convenzionali in stato agonizzante, ma anche l’Indonesia e i due giganti del Golfo, l’Iran e l’Arabia Saudita.
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Russia, Messico e Australia si sono limitati a ri-presentare gli obiettivi precedenti – quindi senza rispettare la logica del rachet mechanism. Stessa linea seguita da Giappone e Nuova Zelanda, che però hanno promesso di presentare obiettivi climatici aggiornati entro la Cop26 che si terrà il prossimo novembre a Glasgow.
Tokyo, come diverse altre nazioni tra le più economicamente avanzata, ha fissato nei mesi scorsi l’obiettivo a lungo termine della neutralità climatica entro la metà del secolo. Il paese guidato da Jacinda Ardern, invece, ha da poco dichiarato lo stato di emergenza climatica con un voto in parlamento.