Il nuovo rapporto di sintesi dell’Ipcc è “un manuale di sopravvivenza per l’umanità”, dice il numero 1 dell’Onu Guterres
(Rinnovabili.it) – Agire ora, altrimenti sarà troppo tardi. È il messaggio in cui si possono condensare le 36 pagine del nuovo Synthesis Report Ipcc, il rapporto conclusivo che a sua volta sintetizza le migliaia e migliaia di pagine del 6° Assessment Report (AR6), pubblicato dal Panel intergovernativo sul cambiamento climatico in tre puntate fra 2021 e 2022.
In parole povere: tutto quello che la scienza del clima ha da dire su come l’umanità oggi può evitare l’impatto peggiore della crisi climatica. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, l’ha definito “un manuale di sopravvivenza per l’umanità”. Può sembrare solo retorica. Non lo è.
Se c’è un concetto che le centinaia di scienziati che hanno lavorato dal 2015 a oggi per analizzare, ponderare e mettere a sistema la scienza del clima più aggiornata, è questo: la crisi climatica è davvero una minaccia esistenziale per l’umanità, destinata in ogni caso a cambiare profondamente le nostre vite e quelle delle generazioni future. Sta a noi, adesso, creare le giuste politiche ambientali perché questo cambiamento sia il più favorevole possibile.
Che cos’è il nuovo Synthesis Report Ipcc e perché è importante?
Il rapporto di sintesi dell’AR6 presentato oggi a Interlaken è un documento politico. Come avviene per tutti i rapporti Ipcc, il documento scientifico in forma estesa viene sempre accompagnato da un sommario per i politici, molto più breve e incisivo. Questo sommario viene preparato dagli scienziati ma deve poi essere approvato parola per parola dalle delegazioni di tutti i 193 paesi membri dell’Ipcc. Non è un processo semplice né breve. Il sommario presentato oggi è stato negoziato per più di una settimana e l’ok finale è arrivato domenica sera invece di venerdì, quasi 48 ore oltre la scadenza.
Il nuovo Synthesis Report Ipcc contiene quindi delle indicazioni per la politica limate proprio dai politici stessi. Proprio come avviene durante i negoziati nei vari consessi internazionali (dalle Cop al G20 al G7), ogni paese prova a edulcorare o rendere più ambizioso il testo. Visto che serve l’unanimità, cioè tutti e 193 hanno di fatto potere di veto, il sommario del rapporto di sintesi è il minimo comun denominatore dell’azione climatica: i dati e i concetti che superano la revisione – almeno in teoria – sono la base di partenza comune per qualsiasi politica per il clima.
Stato dell’arte e tendenze in atto, rischi futuri e risposte nel lungo termine, risposte nel breve periodo. Sono le tre sezioni in cui è diviso il nuovo Synthesis Report Ipcc, che a loro volta integrano e riassumono le conclusioni a cui erano arrivate le tre parti dell’AR6: “Le basi della scienza fisica” (AR6 WG1), “Impatti, adattamenti e vulnerabilità” (AR6 WG2), “Mitigazione del cambiamento climatico” (AR6 WG3). Inoltre, questo rapporto di sintesi integra anche le conclusioni dei tre report tematici su oceani e criosfera, climate change e terra e obiettivo 1,5°C, tutti usciti dopo ‘AR5 del 2014.
Cosa dice l’ultimo rapporto di sintesi dell’Ipcc sullo stato attuale del clima?
Il primo capitolo ribadisce che la crisi climatica in corso è “inequivocabilmente” opera dell’uomo ma si ferma un passo prima di attribuire una responsabilità differenziata per le emissioni storiche. È un passaggio cruciale nei negoziati climatici: se venisse riconosciuta, stravolgerebbe il principio su cui si fonda tutto il processo delle Cop, quello delle responsabilità comuni ma differenziate (CBDR, Common But Differentiated Responsibilities).
Il CBDR si applica in modo atemporale, cioè alla situazione per com’era all’inizio degli anni ’90. Integrare le emissioni storiche in questo principio – quindi tutti i gas serra generati dall’inizio della rivoluzione industriale a oggi aggraverebbe le responsabilità per i paesi con economie avanzate e le ridurrebbe per quelli in via di sviluppo. La Cina è l’eccezione: ai fini Ipcc è classificata ancora come in via di sviluppo, anche se le sue emissioni storiche (concentrate quasi tutte dopo il 2000) la collocano al 2° posto tra i grandi inquinatori, dietro gli Stati Uniti.
È su questi temi che si sta giocando oggi il braccio di ferro per i Loss & Damage (perdite e danni), quella parte di finanza climatica protagonista assoluta alla Cop27 di Sharm el-Sheikh lo scorso novembre.
Il rapporto di sintesi riconosce solo che “i contributi storici delle emissioni di CO2 variano sostanzialmente tra le regioni in termini di entità totale” e sottolinea il fatto che “le comunità più vulnerabili, che storicamente hanno contribuito meno ai cambiamenti climatici in atto, sono colpite in modo sproporzionato”.
Sull’adattamento ci sono dei gap importanti che cresceranno: la crisi climatica viaggia più veloce della nostra capacità attuale di adattarci a un mondo 1,1°C più caldo. In parte pesa la mancanza di una finanza climatica adeguata, tanto più urgente quanto più si considera che per alcuni ecosistemi sono già stati raggiunti i limiti di adattamento. Sul fronte mitigazione, le promesse sul clima degli Stati fatte prima della Cop26 ci portano verso un mondo 2,8°C più caldo nel 2100, mentre per restare in uno scenario climatico con overshoot limitato e rientro sotto gli 1,5°C entro fine secolo bisogna agire in modo efficace entro il 2030.
Uno sguardo al futuro
Stiamo vivendo il decennio critico per l’azione climatica. Ma anche quello durante il quale, con molta probabilità sforeremo almeno una volta gli 1,5°C di riscaldamento globale, sostiene il nuovo Synthesis Report Ipcc, mentre le riduzioni più drastiche di gas serra darebbero effetti visibili entro 20 anni. Per tenere gli 1,5 gradi a portata di mano, anche con un overshoot limitato, servono riduzioni dei gas serra “rapide e profonde e, nella maggior parte dei casi, immediate”.
Gli impatti a lungo termine della crisi climatica saranno “diverse volte superiori” a quelli che osserviamo oggi. E mentre crescerà l’impatto degli estremi climatici, le conseguenze climatiche e non climatiche della crisi si intrecceranno sempre di più. “Alcuni cambiamenti futuri sono inevitabili e/o irreversibili, ma possono essere limitati da una riduzione profonda, rapida e sostenuta delle emissioni globali di gas serra”, si legge nel sommario del rapporto di sintesi: si tratta in particolare dell’aumento del livello dei mari. E c’è un alto livello di evidenze convergenti e di consenso scientifico sulla probabilità che più riscaldamento significhi innescare tipping point con effetti a cascata. Mentre le opzioni per l’adattamento che oggi sono a portata di mano, con più global warming diventeranno più complesse da attuare.
Cosa possiamo fare oggi?
La risposta migliore che possiamo dare è “uno sviluppo resiliente al clima”, espressione con cui l’Ipcc indica sia un fascio di opzioni prioritarie sul tavolo sia il modo in cui vengono attuate. “Lo sviluppo resiliente al clima integra l’adattamento e la mitigazione per far progredire lo sviluppo sostenibile per tutti ed è reso possibile da una maggiore cooperazione internazionale, compreso un migliore accesso a risorse finanziarie adeguate, in particolare per le regioni, i settori e i gruppi vulnerabili, nonché da una governance inclusiva e da politiche coordinate”, si legge nel nuovo Synthesis Report Ipcc.
Agire subito darà benefici immediati o quasi soprattutto sotto il profilo dell’inquinamento e della salute, mentre agire in ritardo significa incatenarsi ad infrastrutture ad alte emissioni, aumentare i rischi di stranded asset e di escalation dei costi, meno fattibilità e più perdite e danni, sottolineano gli scienziati.
Ma il messaggio principale, per l’azione climatica, è che le tecnologie e le opzioni necessarie per tenere il riscaldamento globale entro gli 1,5°C sono già disponibili oggi, anche se con differenze tra regione e regione. Ma in ogni caso bisogna “dare priorità all’equità, alla giustizia climatica, alla giustizia sociale, all’inclusione e a processi di transizione giusti”, una via che “può consentire azioni di adattamento e mitigazione ambiziose e uno sviluppo resiliente al clima”.