(Rinnovabili.it) – Nella ripresa post COVID-19, l’India ha deciso di scommettere sul suo “diamante nero”, il carbone, spalancando le porte agli investitori privati. Ieri è stata lanciata, infatti, la prima asta governativa per assegnare a società private quei permessi d’estrazione fino a ieri ad esclusivo appannaggio dello Stato. La gara ha avuto per oggetto 41 nuove miniere di carbone, con una capacità produttiva stimata di circa 225 milioni di tonnellate l’anno.
La riforma del settore nasce per quelle che il premier Narendra Modi definisce esigenze di sicurezza economica ed energetica. “Oggi stiamo portando il settore del carbone fuori da decenni di blocco”, ha commentato, sottolineando i benefici per quelle aree dove risiedono le riserve. “Le persone di questi distretti aspirano allo sviluppo ma sono rimaste indietro […] Le entrate extra attraverso la produzione di carbone saranno utilizzate per i regimi di welfare pubblico“ in queste regioni.
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Gli fa eco il ministro alle miniere, Pralhad Joshi. “Questo processo di asta segna l’apertura del settore carboniero indiano per l’estrazione commerciale e consentirà al paese di raggiungere l’autosufficienza energetica e fornire una spinta allo sviluppo economico e all’occupazione”.
Ma i problemi del nuovo programma sono difficili da nascondere. Al di là della questione prettamente climatica, le nuove maniere di carbone avranno pesanti ricadute sul fronte ambientale e sociale. E oggi appaiono più come un pretesto per fare cassa piuttosto che una reale esigenza energetica. La domanda nazionale di carbone sta progressivamente calando anche grazie alla competitività delle rinnovabili, nonostante l’India sia oggi il secondo più grande consumatore di questo combustibile. E se la domanda dovesse calare ulteriormente – come è probabile che faccia – gli investitori si ritroverebbero con enormi danni economici.
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Uno degli elementi più preoccupanti è la posizione di alcuni dei 41 siti minerari. Secondo quanto confermato dalla giornalista Aruna Chandrasekhar a Climate Home News, molte delle future miniere si trovano “in zone fragili dal punto di vista ambientale e in terre indigene che non avrebbero dovuto essere messe in vendita”. Jayashree Nandi e Anisha Dutta dell’Hindustan Times hanno addirittura evidenziato come alcuni siti si trovino in aree forestali ricche di biodiversità nell’India centrale o coperte da protezione ambientale. Il blocco minerario Madanpur North, ad esempio, ha una superficie totale di 21 kmq, di cui 19 kmq sono foresta. Il Morga II, invece, ha una superficie di 26,64 kmq, di cui l’85% è costituito da boschi.