Uno studio di università di Trento e Eurac Research di Bolzano su 46 siti nell’arco alpino sotto i 2000 metri di quota conferma il ruolo del cambiamento climatico nella diminuzione della neve. In inverno le precipitazioni sono aumentate dal 1920 a oggi. Ma fa anche più caldo. Così piove di più e nevica di meno
Sulle Alpi italiane nevica la metà di 100 anni fa. La quantità di neve sulle Alpi – considerando l’intero arco alpino e tutti i versanti – è calata del 34% tra il 1920 e il 2020. Con differenze marcate tra Nord e Sud: rispettivamente, -23% e quasi -50%. Dati che confermano i risultati di molti studi recenti sull’andamento della neve in Italia.
Lo afferma uno studio pubblicato su International Journal of Climatology da un gruppo di ricercatori italiani guidati dall’Università di Trento e dall’Eurac Research di Bolzano. Il lavoro si concentra sulle variazioni dello spessore del manto nevoso usando serie storiche relative a 46 siti sparsi sulle Alpi a quote differenti.
Come è cambiata la neve sulle Alpi italiane?
Sotto i 2000 metri di quota, nell’ultimo secolo le precipitazioni in inverno sono aumentate. Ma non quelle nevose. Il manto nevoso è sempre più risicato, soprattutto alle quote più basse.
Nei settori sud-occidentali e sud-orientali dell’arco alpino, la perdita di spessore della neve arriva al -4,9% e al -3,8% ogni decennio. Valori più alti di quelli riscontrati per i versanti rivolti a Nord, dove la tendenza è sempre negativa ma di un più contenuto -2,3% ogni 10 anni.
La ragione? Lo studio conferma nuovamente che la scomparsa della neve sulle Alpi dipende dai cambiamenti climatici. È il riscaldamento globale, che nell’area alpina procede al ritmo di 0,15°C per decennio, a spiegare l’assottigliamento del manto nevoso. La ricerca conferma una correlazione tra i due fattori. E non è un caso che la perdita di neve più consistente si sia verificata tra 1980 e 2020: “è il risultato di un incremento più pronunciato della temperatura media”, si legge nello studio.
La perdita di neve è infatti più contenuta a quote più elevate. Dove le temperature riescono a mantenere una parte maggiore delle precipitazioni sotto forma di neve.
“La neve è fondamentale come riserva idrica. Alimenta i ghiacciai, i torrenti di montagna e, sciogliendosi lentamente in primavera, ripristina gradualmente le riserve idriche. La diminuzione della neve ha un impatto non solo sugli sport invernali, ma anche su tutte le attività e i processi che dipendono dall’acqua. Questo aspetto non può più essere ignorato nella pianificazione politica della gestione delle risorse idriche”, spiega Michele Bozzoli dell’università di Trento, prima firma dello studio.