Il deficit di neve – espresso come equivalente idrico nivale, cio il volume d’acqua stoccato nel manto nevoso – arriva al -39% a livello nazionale rispetto alla media del 2011-2021. Le montagne che alimentano il bacino del Po, però, sono al -43% mentre quello del Tevere raggiunge -87%
I dati di Fondazione CIMA sullo stato della neve in Italia
(Rinnovabili.it) – Nonostante maltempo e precipitazioni tra dicembre e inizio di gennaio, manca ancora quasi il 40% della neve che cade normalmente in Italia. Anche se una ripresa, rispetto a 40 giorni fa, c’è stata. E la situazione sull’arco alpino è decisamente migliore di quella registrata l’anno scorso. Lo ha calcolato Fondazione CIMA nel rapporto di aggiornamento sullo stato della neve in Italia pubblicato oggi.
A inizio dicembre il deficit di neve, sull’intero territorio nazionale, arrivava al 44% rispetto alla media del periodo 2011-2021. Da allora ha nevicato abbastanza sulle Alpi mentre l’Appennino è rimasto a secco. Così la fotografia della neve in Italia, adesso, mostra il Belpaese spaccato in due. L’arco alpino ha “solo” il 26% di neve in meno rispetto alla media: nel 2023 in questo periodo era quasi il triplo, -67%. Mentre la catena appenninica arriva, in alcune zone come le cime che alimentano il bacino del Tevere, a sfiorare un ammanco del 90%.
“Come evidenziamo sempre, i due fattori principalmente responsabili della scarsità (o dell’abbondanza!) di neve sono le temperature e le precipitazioni. Dobbiamo il deficit attuale, che purtroppo non è una novità rispetto agli inverni scorsi, a temperature alte associate a precipitazioni scarse”, spiega Francesco Avanzi, ricercatore dell’ambito Idrologia e Idraulica di Fondazione CIMA. “L’anomalia di temperatura è stata particolarmente significativa sull’arco appenninico, nel quale, tra ottobre e dicembre, si sono registrate temperature di anche +2,5°C superiori rispetto alla media”.
Neve in Italia: le differenze tra Alpi e Appennini
Per il Triveneto (bacino dell’Adige) e il Nord in generale (bacino del Po), le altissime temperature del 2023 – con dicembre che nelle regioni settentrionali è stato 2,17 gradi più caldo della media degli ultimi 30 anni – non hanno delineato uno scenario quasi catastrofico come quello degli scorsi due anni. Quando la mancanza di neve in Italia aveva determinato una siccità prolungata e messo in crisi agricoltura e idroelettrico. Nel settore nord-orientale delle Alpi è caduta e resiste tutt’ora praticamente la stessa neve della media degli ultimi 10 anni (il deficit è appena del 3%). Mentre per le montagne che alimentano il Po l’ammanco è ancora importante e arriva a -43%.
“Abbiamo di fronte a noi ancora qualche mese utile per eventuali nevicate, che potrebbero almeno in parte colmare i deficit attuali; per gli Appennini, soprattutto, sono di solito i mesi tra gennaio e febbraio quelli più nevosi”, prevede Avanzi. “Il deficit a livello nazionale, tuttavia, è davvero marcato e difficilmente potremo rientrare, da qui all’inizio della primavera, nelle medie storiche”. Una situazione che si ripropone da molti anni, segno dell’impatto della crisi climatica sull’Italia. “La crisi climatica altera il pattern delle precipitazioni, neve inclusa, e questo avrà un impatto inevitabile su molte nostre attività, dal turismo invernale all’agricoltura”, conclude il ricercatore di Fondazione CIMA.