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C’è sempre meno neve in Italia: come cambiano le Alpi (e lo sci) con la crisi climatica

Neve in Italia: l’impatto della crisi climatica sulle Alpi
Foto di Maayan Nemanov su Unsplash

Anche rispettando Parigi, perderemo un mese di neve in Italia entro il 2100

(Rinnovabili.it) – Lo scorso inverno, sulle Alpi è caduta meno di metà della neve rispetto alla media storica. L’equivalente in acqua della neve (snow water equivalent, chiamato anche equivalente idrico nivale) calcolato dalla Fondazione CIMA a metà febbraio segnava -53% sull’intero arco alpino. Nell’ultimo spicchio di stagione invernale la situazione del manto nevoso è ulteriormente peggiorata arrivando a -69%. Non è un caso isolato né un’eccezione. Anche se il 2021-2022 è stato un biennio di gravissima siccità lungo i 12 mesi e non solo per l’inverno, la tendenza dell’accumulo di neve in Italia sul medio e lungo periodo parla chiaro: nevica sempre di meno, a quote più elevate, per meno giorni.

Una tendenza che sarà sempre più esacerbata dal riscaldamento globale, sulle Alpi in piena accelerazione. Come rilevava uno studio del CNR pubblicato sul Journal of Mountain Science lo scorso agosto, l’incremento delle temperature medie è in piena accelerazione sull’arco alpino: rispetto ai valori del trentennio 1961-1990, le medie sono cresciute di 0,3°C nel 1971-2000, di 0,5°C nel 1981-2010, e di 0,9°C nel 1991-2020. Se il tasso di emissioni di gas serra continuerà ai ritmi attuali, la media del periodo 2001-2030 arriverà a +1,5°C rispetto al trentennio di riferimento ’61-’90. Oggi, a livello globale, l’aumento della temperatura è intorno a +0,16°C per decennio.

Come sta cambiando la neve in Italia

L’aspetto più semplice da cogliere nell’impatto della crisi climatica sulle Alpi è la durata sempre più breve del manto nevoso. Uno studio di AINEVA, l’associazione interregionale neve e valanghe, ha rilevato una riduzione dei giorni con copertura nevosa in montagna su tutto l’arco alpino, con pochissime e locali eccezioni che non modificano il quadro generale.

Questi i dati. La durata del manto nevoso con almeno 1 cm di spessore, tra 1° novembre e 15 giugno, si è accorciata di 3,5 giorni per decennio al di sopra dei 1500 metri di quota e di quasi il doppio (6,4 giorni/decennio) per le stazioni di rilevamento poste più in basso. In media, tra i 30 anni compresi tra il 1961 e il 1990 e i tre decenni dal 1991 al 2020, la neve sulle Alpi scompare 20 giorni prima a bassa quota e 8 giorni prima ad alta quota. Se si guarda solo il manto nevoso con uno spessore di almeno 5 cm, la perdita di durata è di 6,2 e 1,5 giorni al decennio, rispettivamente in bassa e alta quota.

È soprattutto il cuore dell’inverno – quello in cui le precipitazioni nevose si accumulano più facilmente e riescono a rimpinguare ghiacciai e a costituire una riserva idrica per i mesi successivi – ad aver perso neve. Il dato sull’accumulo di neve al suolo, sia sopra che sotto i 1500 metri, è sostanzialmente identico 60 anni fa come oggi. Ma dai primi di gennaio le traiettorie divergono nettamente.

Gli scenari al 2100

A fugare i dubbi che la tendenza fortemente negativa sia influenzata dalla variabilità naturale – che pure esiste – ci pensa uno studio condotto da Eurac Research e pubblicato su Nature Climate Change all’inizio del 2023. Secondo i ricercatori, la situazione del 2022 diventerà la norma nel giro di 80 anni, in assenza di serie politiche di mitigazione delle emissioni di gas serra. Entro il 2100, infatti, in uno scenario emissivo molto pessimista, i giorni di innevamento sulle Alpi in media si dimezzeranno rispetto ai valori del periodo 2001-2020.

Ad altezze di 2500 metri, a fine secolo con un riscaldamento globale di circa 4°C si perderebbero 76 giorni di innevamento sulle Alpi, quasi 3 mesi. In uno scenario compatibile col Paris agreement (+2°C), invece, i giorni persi sarebbero 26, comunque quasi un mese. A 1500 metri di altezza, nel caso peggiore i giorni persi sarebbero 36 su 95, oltre un terzo. Che scenderebbero a 17 con un contenimento del global warming entro i limiti di Parigi.

Mai così poca neve in Italia

Altri studi confermano queste tendenze. E riescono a ricostruire l’andamento nei decenni precedenti, allungando la serie storica e dando una nuova prospettiva sul declino della neve in Italia. Lo ha fatto uno studio dell’Università di Padova e dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Isac-Cnr) di Bologna pubblicato a gennaio 2023 su Nature Climate Change.

Tra il 1971 e il 2019 l’altezza della coltre di neve sulle Alpi durante l’inverno (tra novembre e maggio) è scesa dell’8,4% per decennio, mentre la durata del manto nevoso si è accorciata del 5,6% ogni 10 anni. Negli ultimi 100 anni, ricostruiscono i ricercatori grazie allo studio degli anelli di accrescimento del ginepro, le Alpi hanno perso 36 giorni di innevamento d’inverno. La media mobile di lungo termine, calcolata su periodi di 50 anni, mostra un evidente e inarrestato declino nell’ultimo secolo, a partire dai primi decenni del ‘900.

Le conseguenze per l’industria dello sci

Dati, quelli riportati fin qui, che disegnano un quadro di crisi profondissima per l’industria dello sci, in Italia come in gran parte del resto d’Europa. Settore oggi sempre più sovvenzionato per garantirne la sopravvivenza – con conseguenti sprechi di risorse, come l’acqua per l’innevamento artificiale – lo sci sulle Alpi è destinato a ritirarsi sempre più verso l’alto, seguendo la ritirata dei ghiacciai.

La quota della affidabilità della neve naturale per lo sci, cioè la quota dove per almeno 100 giorni, da dicembre ad aprile, la neve rimane al suolo con almeno 30 cm di spessore, è passata dai 1511 m del periodo 1961-1990 ai 1750 m di quota del 1991-2020, secondo lo studio di AINEVA. Il periodo con la quota più bassa è stato il 1971-1980 per poi gradualmente risalire fino oltre i 1800 m di quota del 2011-2020.

Senza innevamento artificiale, uno studio dell’università di Grenoble pubblicato ad agosto prevede che il 53% e il 98% delle 2.234 stazioni sciistiche studiate in 28 paesi europei saranno ad altissimo rischio di fornitura di neve con un riscaldamento globale, rispettivamente, di 2 °C e 4 °C.

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