L’Arctic Boreal Vulnerability Experiment (ABoVE) scopre oltre 2 milioni di hotspot di metano nell’Artico che possono accelerare il surriscaldamento globale
(Rinnovabili.it) – Era il 2018 quando un ricerca finanziata dalla NASA aveva scoperto che lo scioglimento del permafrost artico, e il conseguente rilascio di gas a effetto serra nell’atmosfera, avrebbero potuto essere accelerato da un processo poco noto chiamato “scongelamento improvviso”, legato a hotspot di metano. I ricercatori avevano infatti rilevato che questo brusco scongelamento del permafrost comportava un afflusso improvviso e massiccio di metano nell’atmosfera e, quindi, che queste emissioni avrebbero potuto accelerare il riscaldamento del pianeta. Questo fenomeno, non considerato nelle proiezioni, è poco conosciuto: non si conosce infatti la quantità di metano che può essere emessa dallo scioglimento del permafrost e nemmeno quali fattori ambientali possono influenzarne il rilascio.
È in questa direzione che si inserisce il Programma di ecologia terrestre della NASA denominato Arctic Boreal Vulnerability Experiment (ABoVE), esperimento sulla vulnerabilità artico-boreale, condotto in Alaska e nel Canada occidentale. Lo studio si concentra sul cambiamento ambientale e sulle sue implicazioni per i sistemi socio-ecologici terrestri: il suo fine è consentire agli scienziati di identificare modelli chiave e influenze ambientali legate al rilascio di metano dallo scioglimento del permafrost artico.
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Dal 2017, utilizzando strumenti altamente specializzati come lo spettrometro ad infrarossi per immagini visibili nell’aria – Next Generation (AVIRIS – NG), il team ha sorvolato circa 30.000 chilometri quadrati di regione artica alla ricerca degli hotspot di metano.
Questi punti caldi sono aree che presentano “un eccesso di 3.000 parti per milione, ppm, di metano tra il sensore aereo e il suolo”, come ha spiegato Clayton Elder del Jet Propulsion Laboratory della NASA, “e abbiamo rilevato 2 milioni di questi hotspot sul territorio che abbiamo sorvolato”.
Elder ha sottolineato che lo studio è anche una svolta tecnologica, infatti AVIRIS-NG era stato usato “in precedenti sondaggi sul metano, ma concentrati sulle emissioni causate dall’uomo in aree popolate o con importanti infrastrutture note per produrre emissioni”. È la prima volta che questo strumento viene utilizzato per trovare hotspot di metano in luoghi dove le emissioni di gas a effetto serra sono meno conosciute e comprese.
Lo studio è appena iniziato e nell’articolo pubblicato il 10 febbraio su Geophysical Research Letters, intitolato “La mappatura per via aerea rivela la legge di potenza emergente delle emissioni di metano artico”, il team di scienziati ha approfondito la scoperta di uno schema legato allo scioglimento improvviso del permafrost. Hanno rilevato infatti un dato fondamentale: in media gli hotspot di metano si trovano concentrati entro circa 40 metri da corpi idrici, come laghi e corsi d’acqua. Dai 40 metri in avanti la presenza di hotspot di metano diminuisce gradualmente.
Queste sono solo le prime osservazioni dello studio, ma molto preziose. Avere la possibilità di identificare le cause più probabili della distribuzione di hotspot di metano in Artico permetterà infatti di calcolare con maggiore precisione le emissioni di questo gas serra anche in aree di cui non si hanno dati specifici. Al contempo lo studio migliorerà la capacità di prevedere l’impatto della regione artica sul clima globale e viceversa quello dei cambiamenti climatici sull’Artico.
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