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Crisi climatica: aumenta la mortalità legata al calore, ma i registri ufficiali non la contano

mortalità legata al calore

In Australia la mortalità legata al calore è in continuo aumento, ma formalmente non è quasi mai riconosciuta 

(Rinnovabili.it) – Comprendere fino a che punto i cambiamenti climatici hanno un impatto sulla salute umana è fondamentale per gestire in anticipo i rischi. Tuttavia molti paesi sembrano tutt’oggi sottostimare gli effetti del riscaldamento globale sulla qualità della vita. È questo il motivo che ha spinto un team di esperti del settore sanitario ad analizzare uno degli aspetti più conosciuti ma meno indagati: i decessi legati alle ondate di calore.

Il gruppo ha analizzato i registri nazionali dei decessi in Australia con l’obiettivo di mettere a fuoco i casi di mortalità legati al calore. Lo Stato è uno dei più colpiti sotto questo aspetto: solo a dicembre 2019, un’ondata di caldo eccezionale ha investito il territorio, toccando in alcune località anche i 48-50°C.

Il team ha scoperto, però, è che le morti legate alle temperature più calde sono state “sostanzialmente sottostimate”. Le cifre ufficiali mostrano come negli ultimi 11 anni siano stati registrati 340 decessi nel Paese a causa delle eccessive temperature estive; ma l’analisi statistica ha rilevato che alle ondate di calore dovrebbero essere, invece, attribuite oltre 36.700 morti.

Il problema principale, come spiega Arnagretta Hunter, medico della Australian National University, è che nonostante il cambiamento climatico sia un killer, non lo riconosciamo sui certificati di morte”.

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Le analisi del gruppo di ricerca suggeriscono che la mortalità legata al calore in Australia è di circa il 2% evidenziando che, se le emissioni globali dovessero restare invariate, le città australiane potrebbero veder quadruplicato questo numero entro il 2080. “Sappiamo – continua Hunter – che gli incendi boschivi estivi sono stati una conseguenza del caldo e della siccità straordinari e che le persone morte durante gli incendi non sono state solo quelle che li combattevano […]. Se hai un attacco d’asma e muori dopo esser stato esposto al fumo intenso dovuto agli incendi boschivi, il certificato di morte dovrebbe includere tali informazioni”. 

Per gli studiosi, “man mano che i gravi eventi ambientali diventano sempre più comuni, sono necessari attribuzioni e rapporti corretti per dare risposte efficaci basate sull’evidenza e per guidare l’adattamento locale, nazionale e globale”. 

Nonostante sia complesso tracciare collegamenti tra eventi climatici e mortalità umana, risulta fondamentale registrare simili dati e comprendere il reale impatto del riscaldamento globale. I ricercatori spiegano che la “questione della sottostima delle morti per calore può essere paragonata ai casi di morte per fulmini in cui la causa diretta (ad esempio un ramo caduto da un albero o il crollo di un edificio in fiamme) viene segnalata senza alcun riferimento alla causa indiretta (ovvero il fulmine che ha scatenato eventi poi culminanti nella morte)”. 

È indispensabile quindi modernizzare la certificazione di morte: “le cause indirette devono essere segnalate […], e i dati sulle morti devono essere accoppiati con set di dati ambientali su larga scala in modo da poter effettuare valutazioni coerenti”. Se in Australia e nel resto del mondo si continueranno a non registrare gli effetti delle temperature estreme, l’impatto totale non potrà mai essere compreso.

Stiamo monitorando con successo – conclude Hunter – le morti per COVID-19, ma abbiamo anche bisogno di operatori sanitari e sistemi capaci di riconoscere la relazione tra la nostra salute e il nostro ambiente”. In un mondo in rapido cambiamento, se vogliamo comprendere cosa ci aspetta dobbiamo sapere cosa è successo in passato, e cosa sta accadendo nel nostro presente. Conteggiare correttamente le morti dovute ai cambiamenti climatici è un’azione chiave di questo processo e non possiamo più permetterci di ignorarla. 

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