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Crescono le migrazioni per il clima: fino a 216 mln di persone nel 2050

Un rapporto dell’IOM, l’Organizzazione internazionale della migrazione, analizza il rapporto tra cambiamento climatico antropico e scelta di migrare. Il clima influenza la mobilità umana “in modo non lineare” perché spesso è associato ad altri fattori come insicurezza alimentare, vulnerabilità sociali e problemi economici

Migrazioni per il clima: nel 2050 fino a 216 milioni di sfollati interni
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Le migrazioni forzate sono “ulteriormente esacerbate” da degrado ambientale e crisi climatica

Il numero di persone costrette a lasciare la loro terra a causa di crisi umanitarie non è mai stato così alto come oggi. Un fenomeno, quello degli sfollati interni, che è “ulteriormente esacerbato” dagli impatti ambientali e dal cambiamento climatico. Fattori che peseranno sempre di più in futuro. Nel 2050, fino a 216 milioni di persone potrebbero dover abbandonare le loro case, anche restando nel loro paese di origine, a causa di eventi legati alla crisi climatica. Lo sostiene il rapporto World Migration Report 2024 pubblicato di recente dall’IOM, l’Organizzazione internazionale della migrazione, che dedica un capitolo alle migrazioni per il clima e all’intreccio con la sicurezza alimentare.

Il quadro restituito dall’IOM è fatto di sfumature e relazioni complesse tra più fattori. È difficile, se non impossibile, attribuire una quota delle migrazioni alla sola crisi climatica. I cambiamenti antropici del clima hanno impatti diretti e indiretti sulle migrazioni e possono “influenzare la mobilità umana in modo non lineare.

Capire le migrazioni per il clima

Il caso più semplice è quello degli eventi climatici estremi improvvisi, come uragani o inondazioni. Che “tendono a distruggere le infrastrutture della comunità o a danneggiare i paesaggi agricoli”, rendendo quindi preferibile o obbligata la scelta di migrare.

Ma in generale, sottolinea il rapporto, tutti i “processi estremi associati al cambiamento climatico, compresi gli eventi a insorgenza lenta e improvvisa e il degrado ambientale, hanno il potenziale di influenzare i sistemi alimentari a ogni livello della catena di approvvigionamento”. Un effetto che si somma a quello dovuto ad altri fattori, come frequenza e intensità dei conflitti, rallentamenti economici, ed eventi globali come la pandemia di Covid-19.

Più complesso è ottenere una visione chiara delle migrazioni per il clima legate ai cosiddetti eventi a insorgenza lenta. Fenomeni che mostrano il loro impatto nel lungo periodo e quindi sono più facilmente intrecciati con criticità economiche e sociali. Questo tipo di eventi, come la siccità, l’innalzamento del livello del mare o il degrado del territorio, sebbene “meno visibili”, contribuiscono all’insicurezza alimentare “alterando i mezzi di sussistenza e riducendo il benessere della popolazione, solitamente per un lungo periodo di tempo”. E sono spesso “aggravati da vulnerabilità sociali”.

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