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Gli USA fanno un passo verso il riconoscimento dei migranti climatici

Migranti climatici: gli USA di Biden verso il riconoscimento
credits: UNMISS – Imvepi Refugee Camp via Flickr | CC BY-NC-ND 2.0

Oggi i migranti climatici vengono assimilati a quelli economici dal diritto internazionale

(Rinnovabili.it) – I migranti climatici sono una realtà. Dietro lo spostamento di centinaia di migliaia di persone ci sono i cambiamenti climatici e i loro impatti sull’economia, sulla società, sull’ambiente da cui dipendono le risorse. Ma questo accostamento tra migrazioni e clima è ancora controverso sul piano del diritto internazionale, come spiega bene Cristina Cattaneo del Cmcc. Adesso una decisione in sordina di Joe Biden può accelerarne il riconoscimento ufficiale.

Il neo presidente americano ha ordinato al suo consigliere per la sicurezza nazionale, Jake Sullivan, di valutare come effettuare il ricollocamento dei migranti climatici. Sullivan ha 6 mesi di tempo per presentare un rapporto dove presenta “le opzioni per la protezione e il ricollocamento di individui sfollati direttamente o indirettamente dal cambiamento climatico”, riporta Climate Home.

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Anche se non c’è ancora nulla di certo, già il semplice fatto che gli Stati Uniti stiano considerando questa possibilità è un passo in avanti senza precedenti in materia. I migranti climatici oggi non esistono per il diritto internazionale. Quella di chi fugge dalla propria terra a causa del clima è una fattispecie che non ha alcun riconoscimento specifico. E viene assimilata ai migranti economici. Differenza sostanziale: questi ultimi non godono dei diritti che vengono accordati a chi ottiene lo status di rifugiato, non può ottenere asilo né chiedere forme di protezione internazionale.

La controversia sulla protezione per i migranti climatici deriva, in gran parte, dalla difficoltà di isolare un singolo fattore come causa diretta della scelta di migrare. I fenomeni migratori sono multi causali, la decisione di spostarsi solitamente viene presa sulla base di un ventaglio di elementi. Altro aspetto è il legame causale diretto tra clima e migrazione, anche questo non così semplice da individuare. I migranti climatici spesso vengono etichettati come “semplici” migranti economici, anche se alla base del deterioramento delle loro condizioni economiche ci possono essere gli impatti del cambiamento climatico così come la devastazione provocata da eventi climatici estremi.

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Anche per queste ragioni, il modo in cui Biden ha espresso il mandato a Sullivan appare molto importante. Il documento cita infatti non solo la causalità diretta ma anche quella indiretta, aprendo così a un riconoscimento su vasta scala dei migranti climatici. E non si ferma alla protezione ma guarda anche all’ipotesi ricollocamento: nel primo caso sono solo i paesi di frontiera a doversene far carico, mentre nel secondo caso la questione assume subito una portata potenzialmente globale.

Il rapporto di Sullivan conterrà il parere degli uffici competenti in materia di affari esteri, difesa, sicurezza interna, sviluppo internazionale e intelligence. Secondo stime dell’Unhcr, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati, entro la metà del secolo le persone migranti a causa del cambiamento climatico saranno tra i 200 e i 250 milioni. Su questo fronte, l’Italia ha già preso una posizione più avanzata di quella espressa dal diritto internazionale. Negli ultimi decreti Sicurezza approvati a dicembre 2020 il legislatore prevede la possibilità di riconoscere la protezione umanitaria a chi migra per cause climatiche, ridisegnando il perimetro della fattispecie di calamità naturale.

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