(Rinnovabili.it) – «Affrontare con coraggio la crisi climatica non è solo necessario, ma rappresenta una grande occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo e per questo più capaci di futuro». Così si apre il Manifesto di Assisi (pdf), presentato da Fondazione Symbola e Sacro Convento di Assisi con gli altri promotori: San Francesco, Coldiretti, Confindustria, Enel e Novamont.
Quello che colpisce del Manifesto di Assisi è la sua trasversalità: ha messo d’accordo soggetti diversi (istituzioni, associazioni, imprese, cittadini, mondo economico), laici e cattolici. Ma soprattutto segna una svolta culturale, per la prima volta tante voci parlano una lingua sola per raggiungere gli obiettivi del Manifesto, a cominciare dall’azzeramento delle emissioni di CO2 entro il 2050: un sì convinto alle politiche in difesa dell’ambiente e all’impegno di non lasciare indietro nessuno. Lo spunto iniziale del Manifesto di Assisi è l’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, da cui trae una spiritualità che si concretizza nella realtà di gesti quotidiani come la gentilezza. Ad Assisi – «città messaggio», come l’ha definita Papa Francesco – non poteva mancare un accenno a Greta Thunberg. È esagerato dire che Greta ha in mano le redini della situazione, ma sicuramente è riuscita a smuovere le coscienze di ragazzi, adulti e capi di Stato sull’inquinamento che sta mettendo in affanno il Pianeta.
I giovani hanno bisogno di risposte
«La generazione Greta non ha bisogno di carezze, ma di risposte» ha esordito il presidente della Fondazione Symbola Ermete Realacci, che ha fortemente voluto il Manifesto di Assisi. L’Italia è top in Europa per il riciclo dei rifiuti (79%) e per le energie rinnovabili, essere green conviene, come emerge dal Rapporto GreenItaly di Symbola: queste aziende hanno un maggiore dinamismo sui mercati esteri, sono nettamente più innovative e competitive, sono aziende che crescono più delle altre e creano maggiore occupazione. La sostenibilità è un valore che si traduce in scelte imprenditoriali, è diventata una necessità aziendale richiesta dai consumatori. Più che nuove regole servono visione e concretezza, ma serve parlare con le persone, coinvolgerne più possibile per andare insieme nella stessa direzione. «Il Manifesto di Assisi parla di coraggio: ripartiamo da qui. Sperimentiamo insieme, per imparare facendo, progettiamo con spirito pionieristico rispettando l’ambiente, mantenendo le radici nei territori e la testa nel mondo. Esportiamo non solo prodotti, ma modelli di sviluppo» ha detto Catia Bastioli, amministratore delegato di Novamont, insistendo sulla salute del suolo e sullo sviluppo delle periferie per superare la cultura dello scarto.
Per Enzo Bianco, presidente del consiglio nazionale dell’Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani), proprio nelle città si gioca una partita importante (trasporti, gestione dei rifiuti): 2/3 della popolazione in Italia risiede nelle città e nei comuni metropolitani. Bianco è stato sferzante: non ci si mette la coscienza a posto solo per aver firmato il Manifesto di Assisi, bisogna essere coerenti. Anche il Mediterraneo vive una vera e propria emergenza: la sua temperatura si alza più velocemente che in altri mari, tanto che si prevede un aumento di 2,2° nel 2040 e ogni minuto vi finiscono 30mila bottiglie di plastica. Nel 2050, ovvero in un domani molto prossimo, in mare ci sarà più plastica che pesci. Il Rapporto di ARLEM (l’Assemblea Regionale e Locale EuroMditerranea) sulla Blu Economy (modello di economia sostenibile basata sulla trasformazione di sostanze precedentemente scartate, ndr) è stato approvato all’unanimità a Barcellona: per Bianco è un’inversione di rotta verso lo sviluppo sostenibile e la tutela dell’ambiente e del territorio.
Parlare di mare è parlare di Marevivo, l’associazione fondata da Rosalba Giugni che da 35 anni si batte per la sua tutela. «Partiamo dal mare per coniugare economia ed ecologia. In mare è nata la vita, è la nostra grande madre, il polmone blu del Pianeta. Il mare rappresenta il 71% della superficie del Pianeta, produce oltre il 50% dell’ossigeno che respiriamo, assorbe un terzo dell’anidride carbonica, responsabile dei cambiamenti climatici. Ma può svolgere questo ruolo solo se è in buona salute e in equilibrio con tutti gli esseri viventi, animali e vegetali, che lo abitano. Inoltre, è un immenso serbatoio di energie pulite e rinnovabili, dalle correnti alle maree». Il mare si protegge anche regolamentando la pesca intensiva e incontrollata che mette in pericolo molte specie, ma la plastica è il grande nemico. L’80% della plastica in mare arriva da terra e dai fiumi: partiamo da qui, disponendo dei sistemi di sbarramento dei rifiuti alla foce dei corsi d’acqua.
Ognuno può contribuire al cambiamento
«Gli ambientalisti sono profeti di sventura o sani realisti?», si è chiesto Padre Mauro Gambetti, custode del Sacro Convento di Assisi. Ma la vera domanda è “siamo davvero contenti di questo mondo o vorremmo cambiarlo?”. Nessuno, da solo, può cambiare il mondo, ma ciascuno di noi può cambiare il suo piccolo mondo e contribuire a un grande cambiamento; tuttavia, ogni cambiamento, perché sia duraturo, deve prima avvenire dentro di noi. Dobbiamo cambiare il nostro obiettivo economico esistenziale: quando si fa impresa prima del profitto bisogna avere a cuore il bene e il bello, rispettare l’ambiente e le persone, perché «chi è evangelicamente scaltro, promuove sviluppo sostenibile e integrale sul territorio». Anche l’architettura può rappresentare la bellezza nelle città. Per l’architetto Mario Cucinella «bisogna prendere in mano il futuro attraverso un passaggio culturale, non basta solo la tecnologia. Non si tratta solo di innovazione delle imprese e dei prodotti. Se davvero non vogliamo lasciare indietro nessuno dobbiamo partire dalla sostenibilità delle città. La povertà edilizia rende impossibile immaginare una città migliore, non bastano progetti belli, bisogna migliorare la vita delle persone. Vivere meglio significa qualità e bellezza».
Per Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, «promuovere il Manifesto di Assisi è un dovere. Il suolo non è di nostra proprietà, è un prestito che dobbiamo passare alle generazioni future meglio di come lo abbiamo ricevuto». La preoccupante frequenza di fenomeni estremi, dalle precipitazioni intense alla siccità, mette ancor più in difficoltà territori già provati dall’abbandono e dalla cementificazione. Sfide da affrontare con una logica di sistema. L’agricoltura è un’eccellenza italiana, fortemente penalizzata dai cambiamenti climatici. Quella biologica, in particolare, è un modello di sviluppo e di crescita virtuoso, sul piano economico e occupazionale. L’abbandono delle aree interne è un lusso che non ci possiamo permettere; al contrario, dobbiamo dare risposte a chi in quei territori continua a vivere, a dispetto delle difficoltà. Patrizia De Luise, presidente di RE.TE. Imprese Italia e di Confesercenti pone una domanda scottante: «Quanti morti per l’incuria?». Come intervenire e quali politiche adottare, come far crescere la consapevolezza del problema a una politica che troppe volte è indietro rispetto alla società? La risposta è nella coesione europea che può dare risposte che vadano oltre l’emergenza nell’immediato. Quindi ragioniamo insieme sui problemi, ma le soluzioni devono essere tempestive e condivise.
L’emergenza climatica distrugge il tessuto sociale
«Il clima ci unisce, tutti siamo uguali davanti all’emergenza, anche se i più esposti sono sempre i più poveri. Per questo l’emergenza climatica ha un potenziale distruttivo anche sul tessuto sociale» ha giustamente rilevato Francesco Starace, amministratore delegato e direttore generale di Enel. Circa 8-9 anni fa Enel ha cominciato a muoversi verso l’economia verde e le rinnovabili: sembrava una follia, oggi ha raddoppiato il suo valore ed è diventata un’azienda globale. Inizialmente il green può sembrare un costo, ma è un investimento che vale: nella sostenibilità è la nostra salvezza, non dobbiamo temerla.
A Davos molti si sono domandati quando sarà la prossima crisi, come l’affronteremo, con quali strumenti? Ne serviranno altri, perché quelli attuali saranno superati. «Partendo dalla lotta al cambiamento climatico dobbiamo ricostruire un nuovo modello di sviluppo, quello vecchio è esaurito» ha ammonito il presidente del Parlamento Europeo Davide Sassoli. Il primo passo del New Green Deal europeo sarà a marzo 2020, quando verrà presentata la prima legge europea sul clima: prevede 50 provvedimenti legislativi per i prossimi due anni, che avranno impatto su ricerca, imprese, cittadini. I disastri provocati dal cambiamento climatico generano costi enormi. Anche diventare carbon neutral avrà dei costi, bisogna accompagnare la transizione con una programmazione di lungo periodo affinché il cambiamento «sia sostenibile da un punto di vista climatico, sociale, economico e finanziario. Nessun paese deve restare indietro, seppure si parte da posizioni diverse. New Green Deal e bilancio europeo sono due facce della stessa medaglia. Serve finanziare un Fondo per la transizione, qui gli Stati scommettono sul loro futuro».
Cosa cambia con il Manifesto di Assisi? «Oggi siamo più convincenti e più motivanti» risponde Padre Enzo Fortunato, direttore della rivista San Francesco. L’Italia che fa l’Italia non ha rivali, dai fallimenti sa ricavare delle opportunità. «La vera domanda è che futuro vogliamo dare ai nostri figli? Perché i figli ce li hanno tutti. Dobbiamo credere nello schema circolare, camminare tutti insieme. Il grande imprenditore è quello che non giudica ma valorizza l’altro, come San Francesco che faceva emergere la parte migliore di ognuno. La trasversalità del Manifesto di Assisi è in linea con la consapevolezza francescana: non guardo da dove vieni, ma dove vuoi andare. Non abbiamo bisogno di integralisti, ma di gente di buona volontà».
«Coraggio, futuro, spirito di comunità, partecipazione. Il Manifesto di Assisi ci invita a pensare alla grande, a ridurre le disuguaglianze, e l’Italia può essere in prima fila a sostenere questa rigenerazione». Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, parte da queste parole chiave per stimolare l’Italia a creare valore. Non solo il primo posto in Europa per l’economia circolare, ma partire dalla rigenerazione dei materiali per arrivare a quella umana, fatta di rispetto, di gentilezza: mettere le persone al centro della società, come le imprese sono al centro dell’economia.
Secondo Stefano Zamagni, economista e presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, i promotori del Manifesto di Assisi hanno avuto coraggio a opporsi ai misoneisti. «Il cambiamento che auspichiamo è un processo, non un salto, e soprattutto bisogna indicare la via per la transizione». È significativo che gli economisti non parlino mai di temi ambientali collegati all’economia. La transizione costa, per alcuni sarà un problema serio e al momento non esiste un modello economico idoneo. Per questo motivo Papa Francesco ha convocato a marzo ad Assisi duemila economisti under 35 perché provino a cambiare l’economia in un’ottica di sostenibilità, i giovani sono naturalmente proiettati in avanti.
Cura del Pianeta come presupposto di sviluppo
«Prendersi cura del Pianeta non è un vincolo allo sviluppo bensì un presupposto di sviluppo, significa prenderci cura di noi stessi» ha esordito Giuseppe Conte, presidente del Consiglio dei Ministri. I meccanismi di mercato pensavano di portare benefici a tutti, «come una marea che solleva tutte le barche». Invece non ha saputo interpretare la complessità né rispondere a chi è rimasto escluso in un mondo globalizzato. Oggi le tendenze neo-protezionistiche possono portare a una nuova crisi economica. Quella attuale ci fa riconsiderare i modelli di sviluppo: dobbiamo essere consapevoli che la casa comune è in disordine. L’uomo è portatore di valori che l’economia tradizionale non conosce: empatia, benevolenza, altruismo, solidarietà. Il valore della persona deve diventare il perno del sistema sociale. Solo così potremo promuovere uno sviluppo integrale e sostenibile. In questa prospettiva rientra il ruolo dell’università che «deve formare le nuove figure professionali rivedendo i processi formativi. Per questo è necessario un approccio interdisciplinare che coniughi tecnologie e scienze umane. Solo una visione integrata dei saperi potrà rispondere alla complessità» ha detto Gaetano Manfredi, ministro dell’Università e della Ricerca. La società va educata al cambiamento, nella consapevolezza che «solo studio e conoscenza possono colmare i divari e cucire le lacerazioni sociali». Motivazioni che si ritrovano in Perfecta Laetitia, l’incubatore internazionale di pensieri, progetti e buone pratiche per la promozione dell’umanesimo fraterno e dell’economia sostenibile che Padre Gambetti sogna di realizzare.
Il rischio climatico è un rischio finanziario
Al World Economic Forum di Davos si è discusso del costo di diventare carbon neutral. Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione Europea, ha ricordato le perplessità davanti ai costi della riunificazione delle Germanie, che andava fatta, a prescindere dai costi. Come va fatta la transizione verso un’economia a basse emissioni di CO2. Perché a pagare la transizione non siano le fasce più deboli della popolazione si impone un cambiamento anche nel campo della finanza, ha detto Giovanna Melandri, presidente di Human Foundation. Non basta più definire gli investimenti in base al rischio e al rendimento, ma anche in base al loro impatto sociale: un esempio in questo senso dovrebbero essere quello dei green bond. Secondo Larry Fink, presidente del colosso finanziario Black Rock, «il cambiamento climatico è divenuto per le società un fattore determinante da prendere in considerazione nell’elaborare le strategie di lungo periodo […] e credo che siamo sull’orlo di una completa trasformazione della finanza». Come dire che il rischio climatico è anche un rischio finanziario.
«Nessun vento è favorevole per chi non sa dove andare, ma per noi che sappiamo anche la brezza sarà preziosa» ha detto Padre Gambetti citando Rainer Maria Rilke. «Ciascuno di noi può essere brezza per il futuro delle generazioni che verranno». L’Italia è un paese che invecchia, perché non proviamo a creare ponti con le nuove generazioni per costruire un futuro a misura d’uomo?