Se la Conferenza Onu sui cambiamenti climatici "non dovesse concludersi con le decisioni necessarie non ci saranno (molte) altre occasioni".
di Rossella Muroni
(rinnovabili.it) – Risposte efficaci alla crisi ecologica in atto e quindi speranza concreta per le future generazioni, urgenza dell’azione, radicalità delle soluzioni e l’invito a costruire insieme. Perché nessuno si salva da solo ma solo insieme si può uscire questa crisi multiforme, che è ormai una crisi sanitaria, ambientale, alimentare, economica, sociale, umanitaria, etica. È quanto ha chiesto Papa Francesco ai decisori politici alla vigilia della COP26 di Glasgow con un messaggio inviato alla BBC. E i numeri gli danno ragione: la situazione è critica.
Quelli del Production Gap Report e dell’Emission Gap Report dell’Unep ci dicono quanto sono distanti le promesse dalla realtà quando si parla di clima. I paesi di tutto il mondo prevedono infatti di produrre circa il 110% in più di combustibili fossili nel 2030, rispetto a quanto sarebbe coerente con il traguardo di un surriscaldamento di +1,5 °C. Intanto le emissioni serra continuano a salire, nonostante pandemia e mesi di lockdown. Tanto che nel maggio di quest’anno la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera ha raggiunto la soglia record di 419 parti per milione (ppt), la più alta concentrazione degli ultimi 3 milioni di anni. E crescono tutte le emissioni serra. Mentre l’impegno di riduzione delle emissioni dei vari Stati ci porta verso un mondo più caldo di 2,7° C. Non potrebbe essere più chiaro che stiamo andando fuori strada ed è urgente correggere la rotta con coraggio.
É su queste cifre che si dovranno confrontare gli Stati alla Cop26 di Glasgow. Sapendo che se la Conferenza non dovesse concludersi con le decisioni necessarie non ci saranno (molte) altre occasioni. Gli obiettivi dichiarati del vertice sono almeno quattro: azzerare le emissioni nette globali entro il 2050 così da contenere l’aumento delle temperature a 1,5°C, adattamento e tutela di comunità e habitat naturali, mobilitare i finanziamenti necessari a raggiungere la neutralità climatica – tra cui, ma non solo, quei 100 miliardi di dollari annui promessi per il 2020 dai Paesi Sviluppati – e collaborare anche per scrivere il “Libro delle Regole” che dovrà rendere pienamente operativo l’Accordo di Parigi. Questa sfida si vince o si perde tutti insieme e ai singoli Paesi si chiede di presentare obiettivi di riduzione delle emissioni al 2030 ambiziosi e allineati con il traguardo delle zero emissioni nette a metà secolo. Per questo è necessario accelerare la transizione energetica con la rapida fuoriuscita dal carbone, ma aggiungerei proprio dal carbonio, ridurre la deforestazione e aumentare in modo significativo gli investimenti sulle rinnovabili. La stessa Agenzia internazionale per l’energia (Iea) in tutti i suoi ultimi rapporti sta segnalando che è necessario smettere di investire in nuove risorse fossili e puntare invece sulle tecnologie pulite.
L’Ue, che sotto la guida della Presidente della Commissione Von Der Leyen si è caratterizzata per una nuova impronta green e che ambisce alla leadership nella lotta alla crisi climatica, è il primo continente ad aver assunto l’obiettivo climatico vincolante della neutralità climatica al 2050 e quello di una riduzione delle emissioni del 55% entro il 2050. Il Regno Unito, che presiede la Conferenza in partenariato con l’Italia, ha fissato un target che prevede almeno il 68% di riduzione per il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e un traguardo intermedio del 78% per il 2035 con la neutralità climatica al 2050. Gli Stati Uniti, che sono la buona notizia, con Biden Presidente sono rientrati nell’Accordo di Parigi, hanno annunciato una riduzione delle emissioni del 50-52% rispetto ai livelli del 2005 per il 2030 e zero netto per il 2050 e un piano di investimenti corposo seppur meno ambizioso di quanto inizialmente previsto. Anche l’Australia, a pochi giorni dall’avvio della Cop, ha annunciato l’impegno per la neutralità climatica a metà secolo ma senza alcun obiettivo intermedio, la Russia ha preso un impegno analogo ma al 2060 proprio come la Cina, che intanto pianifica un aumento della produzione di energia elettrica da carbone. Dei Paesi del G20, che insieme sono responsabili del’80% delle emissioni climalteranti globali, solo sei hanno alzato i target climatici.
Nell’insieme non sono proprio le condizioni migliori per la buona riuscita del vertice.
Ora sarà importante che i Paesi che hanno preso gli impegni di decabonizzazione proseguano su questa strada, aumentando il loro livello di ambizione. Dovranno dimostrare che un’economia decarbonizzata, circolare e sostenibile, realizzata attraverso un processo di transizione attento alla giustizia sociale, migliora la competitività, la qualità della vita e l‘occupazione. Tracciando così la rotta per tutti, in modo che anche i Paesi ritardatari la seguano. Perché più conveniente e vantaggiosa per tutti.
Come ricordato dal vicepresidente della Commissione Ue Timmermans, infatti, anche se Green Deal e transizione hanno un costo, lo stallo e l’inazione ne hanno uno ben maggiore. Dal 1970 al 2019 per l’Organizzazione meteorologica mondiale dell’Onu ogni giorno in media sono morte 115 persone e si sono persi 202 milioni di dollari per disastri e fenomeni estremi della meteorologia innescati dal progressivo cambiamento climatico. Un arco di tempo in cui complessivamente le vittime sono state 2 milioni, i costi astronomici e i fenomeni estremi sono quintuplicati. Ecco perché non c’è più tempo da perdere.
L’Italia e l’Europa hanno tecnologie, innovazioni e talenti per essere davvero protagoniste della sfida del clima. Noi italiani, ad esempio, siamo campioni di economia circolare, abbiamo brevettato la tecnologia per produrre bioplastiche biodegradabili e compostabili, quelle per il solare a concentrazione. Anche se poi abbiamo fatto scappare aziende e investitori perdendo una grandissima opportunità. Ma difettiamo di coerenza e coraggio. Ci presentiamo a Glasgow da co-presidenti del vertice, ma senza inviato speciale per il clima, dimostrando di non cogliere quanto la questione sia prioritaria e richieda strategia e diplomazia internazionale. Contro la crisi climatica servono con urgenza azioni coraggiose, coerenza e velocità e neanche su questi fronti brilliamo. L’Italia, ad esempio, ancora non ha affrontato il tema del necessario taglio dei sussidi fossili e deve tutt’ora aggiornare il suo Piano nazionale energia e clima. Mentre l’Europa, che negli ultimi due anni ha fatto molti passi avanti per clima, rischia una battuta d’arresto sui finanziamenti green. Se vinceranno gli interessi delle lobby e quelli di Francia e Germania avremo una tassonomia verde che include anche gas e nucleare. Un ossimoro che costerebbe moltissimo in termini di velocità, di risultati e di credibilità e che non renderebbe merito alle nostre società e imprese green, ai nostri cittadini e alle nostre associazioni. Che sono più avanti della politica. Il mondo ci guarda e da inquinatori storici, ma anche da continente prospero e avanzato, dobbiamo essere i primi a impegnarsi con serietà e visione. Per convincere e vincere questa sfida epocale.
di Rossella Muroni, ecologista e deputata di FacciamoECO