Le popolazioni dei Caraibi e delle isole al largo della costa dell'Africa occidentale dovrebbero adottare le pratiche messe in atto dalle antiche comunità loro antenate per sopravvivere ai pericoli derivanti dall'innalzamento del livello del mare e dai cambiamenti climatici
Storia, archeologia e paleo-ecologia contro i cambiamenti climatici: le pratiche delle antiche comunità insulari possono aiutare intere popolazioni a far fronte all’emergenza climatica
(Rinnovabili.it) – Non sono solo le tecnologie di ultima generazione a poterci aiutare a combattere il cambiamento climatico. Anche il passato, infatti, può rivelarsi uno strumento utile alla tutela del pianeta: comprendere le pratiche messe in atto dalle antiche comunità che hanno già vissuto i cambiamenti climatici potrebbe aiutare intere popolazioni ad affrontare le emergenze odierne.
Secondo la ricercatrice Kristina Douglass, assistente di antropologia alla Penn State University, sono proprio la storia, la paleo-ecologia e l’archeologia ad offrire, in particolare ad alcune isole in pericolo, “un’importante documentazione relativa ai cambiamenti climatici pre-coloniali e alla loro interazione con le vite e i paesaggi umani”. La documentazione archeologica può così suggerire “strategie e meccanismi capaci di informare le discussioni sulla resilienza nei confronti dei cambiamenti climatici”. È da questi presupposti che Douglass e Jago Cooper, curatore di Americas al British Museum, sono partiti per comprendere come le antiche comunità si siano adattate al cambiamento climatico, in particolare nelle isole dei Caraibi e in quelle nell’Oceano Indiano sud-occidentale, al largo della costa orientale dell’Africa.
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I gruppi di isole esaminati sono attualmente in pericolo a causa dell’innalzamento del livello dei mari. Ma nel loro passato possono esserci elementi utili per garantirsi un futuro.
I nativi americani si stabilirono nelle isole dei Caraibi circa 6000 anni fa, mentre gli africani si insediarono nella maggior parte delle isole dell’Oceano Indiano sud-occidentale solo 2000 anni fa: entrambi i gruppi di isole sono però state obiettivo della colonizzazione negli ultimi 1000 anni, con la conseguente emarginazione, schiavitù o distruzione delle comunità originarie. La colonizzazione ha portato intere popolazioni a passare da vite nomadi a vite stazionarie e i ricercatori hanno scoperto che proprio questa eredità sta aumentando la vulnerabilità ai cambiamenti climatici. “Essere nomadi è un modo efficace per affrontare un clima altamente instabile”, ha spiegato Douglass, ma “incoraggiare stili di vita sedentari ha reso più semplice la gestione della popolazione locale”.
Ad esempio in Madagascar il fico d’india, introdotto dalle Americhe, era una fonte d’acqua sicura per bovini, persone e piante: i pastori malgasci adattarono la pianta al loro territorio per proteggersi dai cambiamenti nel clima. Tuttavia negli anni Trenta i coloni francesi liberarono larve di cocciniglia parassite che distrussero i cactus per costringere le comunità a coltivare colture commerciali, a utilizzare l’irrigazione e a mettere a reddito le praterie. Il che portò a una carestia diffusa durante i successivi periodi di siccità.
Ad oggi, oltre all’eredità della colonizzazione, in questi gruppi di isole anche la variazione nelle precipitazioni ha un forte impatto, essendo legata al riscaldamento degli oceani e a El Niño – Oscillazione Meridionale (ENSO). Le estreme variazioni nelle piogge possono portare all’insicurezza alimentare, in particolare nel sud del Madagascar che sta vivendo carestie catastrofiche a causa della siccità crescente.
L’influenza occidentale e il turismo, inoltre, non giocano a favore di queste comunità insulari. “Il desiderio di essere moderni, lo stato d’élite connesso alle cose che provengono dall’estero è reale” ha affermato Douglass. Il turismo, pur essendo una delle principali fonti di reddito per molte di queste isole, sta portando a problemi crescenti legati allo smaltimento dei rifiuti e al degrado ambientale.
Le popolazioni dei Caraibi e delle isole al largo della costa dell’Africa occidentale dovrebbero tornare al passato, adottare uno stile di vita meno stazionario, abbracciando le pratiche messe in campo dalle antiche comunità loro antenate se vogliono sopravvivere ai pericoli derivanti dall’innalzamento del livello del mare e dalla mancanza d’acqua. Il passato archeologico e storico può essere d’aiuto per quanto concerne le pratiche abitative, agricole, di pascolo e di pesca utilizzate dagli antenati in quanto adattabili al cambiamento climatico, ma, conclude Douglass, gran parte di quelle conoscenze vanno perse quando scompaiono le persone. Questo è il motivo per cui, secondo i ricercatori, preservare le pratiche indigene, le lingue native e le comunità isolane è fondamentale per aiutare queste comunità ad adattarsi ai cambiamenti climatici.
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