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La COP 26 vista da lontano

La lotta al riscaldamento globale ha bisogno di obiettivi ambiziosi e azioni rapide. Ma soprattutto deve cominciare "a casa" accorciando la distanza comunicativa con il grande pubblico, affinché tutti gli italiani considerino la COP26 come un evento fondamentale anche per il loro benessere

cop 26
Credits: UNclimatechange (CC BY-NC-SA 2.0)

di Vittorio Marletto

(Rinnovabili.it) – Ieri mentre guidavo la mia piccola auto elettrica attraverso l’Emilia in direzione di un paesino dell’appennino parmense consideravo il paesaggio circostante, costellato di grandi e piccoli capannoni, brutti edifici commerciali, case in cemento, svincoli, rotonde e frammenti di superstite campagna, nei pochi interstizi lasciati liberi da questi segni di innegabile sviluppo, tipico di una regione che si considera una delle “locomotive” economiche europee.

Pensavo anche che in fondo l’Italia di oggi è un interessante campione rappresentativo dell’intero pianeta, e che se si devono risolvere i problemi climatici globali, come vuole fare la conferenza internazionale COP26 di Glasgow, sarebbe bene ragionare su qualcosa di più vicino a noi, il nostro piccolo “bel paese”.

Un italiano medio infatti emette gas serra in misura pari alla media globale, ovvero circa 7 tonnellate di CO2 equivalente ogni anno (un valore sette volte superiore a quello di un africano medio, per intendersi). E dunque se per fermare il riscaldamento globale devono essere raggiunti obiettivi stringenti in tempi rapidi, per farsi capire dall’opinione pubblica nazionale sarebbe meglio esprimerli in termini italiani.

Tanto per cominciare anche in Italia il cambiamento (sarebbe meglio chiamarlo peggioramento) climatico è perfettamente visibile e inquietante, come dimostrano i danni gravissimi e le vittime subite dalla Sicilia orientale, ripetutamente colpita la settimana scorsa da un vero e proprio ciclone mediterraneo, che mentre scrivo continua a vorticare sul mare tra Creta e Cipro, alimentato dalle acque caldissime e dal vapore che da esse si sprigiona con straordinaria abbondanza.

Il Mediterraneo è infatti un vero e proprio “punto caldo” del pianeta, un piccolo mare chiuso che si sta scaldando come una pentola sul fuoco, e l’Italia ci sta proprio in mezzo. Non a caso la stessa Sicilia l’estate scorsa è stata avvolta da una poderosa ondata di calore e il servizio meteo locale ha registrato un vero e proprio record europeo della temperatura, con ben 48,8 gradi rilevati il giorno 11 agosto in una stazione meteo vicino a Siracusa.

Tutto questo accade mentre il pianeta nel suo complesso si è riscaldato di un solo grado in più rispetto ai valori ottocenteschi presi come “riferimento preindustriale”. Figuriamoci cosa potrebbe accadere all’Italia se le temperature medie mondiali venissero lasciate correre oltre i 2, o addirittura 3 gradi in più, come calcolano i modelli climatici se le emissioni dovessero continuare con i ritmi attuali.

In effetti a Parigi nel 2015 tutte le nazioni del mondo si accordarono per contenere l’aumento entro i +2 gradi, ma successive analisi scientifiche dell’ONU (il famoso rapporto Ipcc del 2018) hanno mostrato come sia essenziale restare entro il limite del grado e mezzo per evitare danni troppo pesanti per l’umanità. Purtroppo un altro recentissimo rapporto ha chiarito che di questo passo il limite di +1,5 gradi verrà raggiunto nell’arco di pochi anni, tra il 2030 e il 2035. Di qui l’estrema urgenza di mettere mano alle emissioni e abbatterle drasticamente cominciando subito.

Cosa significhi abbattere drasticamente le emissioni io l’ho sperimentato proprio grazie all’auto elettrica di cui parlavo all’inizio: la sostituzione di una vecchia auto diesel con quella elettrica a batteria e la sottoscrizione di un contratto elettrico a sole fonti rinnovabili ha eliminato circa 3 tonnellate di CO2 dalle emissioni della mia famiglia in un anno di utilizzo e 20mila km percorsi. Siamo in quattro, tutti patentati, e considerando le medie italiane di cui sopra siamo passati da 28 a 25 tonnellate di emissioni. E’ sufficiente? Senz’altro no, visto che i calcoli scientifici dimostrano la necessità di dimezzare le emissioni entro il 2030, ma è comunque un robusto passo avanti.

Di recente abbiamo letto che i norvegesi ormai acquistano quasi solo auto elettriche a batteria e che al contrario gli acquisti di nuove auto a petrolio sono ormai residuali. In Italia non è affatto così, ogni anno vengono acquistate oltre un milione di nuove auto con motori a petrolio mentre gli automobilisti elettrici sono in totale poco più di centomila, una cifra ancora marginale. Purtroppo nel nostro paese il passaggio all’elettrico è visto con estremo sospetto dal cittadino medio, e persino da molti ambientalisti (peraltro quasi tutti dotati di auto tradizionali). Quindi ecco un primo problema che impedisce di correre verso la riduzione delle emissioni dei trasporti, che in Italia come nel resto del mondo costituiscono un buon quarto del totale.

Più in generale il tema climatico discusso alla conferenza di Glasgow si può riassumere in poche parole: per mantenere il grado di normale benessere cui siamo abituati e al contempo mantenere il pianeta abitabile (e soprattutto coltivabile, dato che ognuno di noi deve mangiare le classiche tre volte al giorno) dobbiamo uscire dal sistema energetico attualmente basato su petrolio, gas e carbone, le fonti fossili che hanno consentito il pazzesco incremento dei consumi energetici che hanno caratterizzato lo sviluppo occidentale nel dopoguerra, e tuttora caratterizzano lo sviluppo cinese di oggi.

Passare al 100% rinnovabili è senz’altro fattibile e anche abbastanza in fretta purché riprendano le installazioni di campi fotovoltaici e parchi eolici, sia terrestri che marini (in questo specifico settore l’Italia è quasi ferma, dopo i record del quinquennio 2008-2013, mentre le altre nazioni sono quasi tutte in piena corsa) e che al contempo si riorganizzi la rete elettrica per immagazzinare quote rilevanti di energia e soddisfare la domanda, compensando le oscillazioni produttive tipiche delle fonti naturali.

Al contempo dobbiamo evitare assolutamente che la capacità naturale del pianeta di assorbire la CO2 in eccesso si riduca o peggio si esaurisca. Distruggere la foresta amazzonica, come sostanzialmente invita a fare da anni lo sciagurato presidente brasiliano Bolsonaro, peraltro presente al G20 di Roma, anche se mai nominato nelle cronache dell’evento, è assolutamente pericoloso non solo per quel paese e per gli abitanti della foresta ma per l’intero pianeta, dato il ruolo sostanziale che quella immensa foresta pluviale svolge per il clima planetario.

Ma la distruzione della foresta è alimentata anche dalla domanda di carne e mangimi per animali italiana, quindi noi italiani dovremo sicuramente rivedere in parte le nostre abitudini alimentari e soprattutto contenere l’espansione delle produzioni lattiero casearie, attualmente sostenute da aiuti europei e da potenti importazioni proprio dal Brasile e da altri remoti paesi produttori di mangimi, come l’Argentina, anch’essa presente al G20 di Roma.

In conclusione sarebbe opportuno che gli italiani considerassero la COP26 come un evento fondamentale anche per il proprio benessere, e che le decisioni prese nelle prossime due settimane li riguardano da vicino. La voce dei giovani nelle strade, che insieme a Greta Thunberg e a papa Francesco chiedono un pianeta abitabile e più giusto per tutti anche in futuro vanno ascoltate, prima che sia troppo tardi.