Contenuto realizzato nell’ambito del progetto CNR 4 Elements
di Paola De Nuntiis
Dopo il G20 di Roma e la COP26 di Glasgow, e come spesso capita a seguito dell’ennesimo evento estremo legato agli effetti dei cambiamenti climatici, si è sentito parlare ripetutamente di IPCC. Si tratta del Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento climatico (Intergovernmental Panel on Climate Change) voluto da due organismi delle Nazioni Unite nel 1988 (l’Organizzazione meteorologica mondiale – OMM e il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente – UNEP) per studiare il riscaldamento globale non con ricerche proprie o con raccolta dati, ma attraverso la letteratura globale scientifica pubblicata. L’IPCC è organizzato in tre gruppi di lavoro che si occupano: delle basi scientifiche dei cambiamenti climatici – WG1; della vulnerabilità dei sistemi naturali e umani, degli impatti dei cambiamenti climatici su di essi e delle strategie di adattamento – WG2; della riduzione delle emissioni di gas a effetto serra cioè della mitigazione dei cambiamenti climatici e delle questioni economiche correlate – WG3. Gli accordi mondiali sul clima come il protocollo di Kyoto del 1997 e l’accordo di Parigi del 2015 sono basati proprio sui rapporti periodici di valutazione IPCC.
Il 6° ed ultimo Rapporto del WG1, preparato da 234 autori provenienti da 65 diversi paesi, è stato presentato il 9 agosto 2021. La stesura del Rapporto dura circa tre anni durante i quali si succedono riunioni plenarie e incontri sia in presenza che online. Tutti gli autori IPCC offrono la loro collaborazione in modo assolutamente volontario. I governi nazionali si fanno carico di sostenere le spese per le riunioni, sostenute anche da un fondo IPCC che ha beneficiato dei circa 700000 $ del premio Nobel per la pace.
Ho il piacere di intervistare tre degli autori principali del rapporto WG1, colleghi del CNR-ISAC (Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche) che ci parleranno della loro personale esperienza internazionale: si tratta di Susanna Corti, Annalisa Cherchi e Sandro Fuzzi. A loro abbiamo posto alcune domande per approfondire il loro ruolo come autori del rapporto sul clima del Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento climatico (IPCC).
Per i lettori che seguono le notizie sui cambiamenti climatici la sigla IPCC è tristemente associata a cattive notizie, ma pochi sanno che dietro questo acronimo lavorano volontariamente tanti ricercatori, pochi italiani, presentatevi e indicateci come siete diventati lead authors del WG1.
SC: sono ricercatrice presso ISAC-CNR dal 2001. Mi sono candidata per contribuire come Leading Author alla stesura del VI rapporto dell’IPCC, WG1 nel 2017 e a fine gennaio 2018 ho ricevuto la lettera in cui si comunicava che ero stata scelta per contribuire alla redazione del capitolo IV (Clima del futuro: proiezioni basate su scenari e informazioni a breve termine). Per me sono stati innanzitutto da subito un grande onore e una grande soddisfazione. Dopo però è sopraggiunta un po’ di preoccupazione perché si trattava di un grande impegno e una grande responsabilità. Ma non ho avuto dubbi se accettare o meno questa sfida e ora sono contenta di avere contribuito a questo importante rapporto. In passato (per il V rapporto) avevo partecipato sia come ”contributing author” che come revisore, ruoli in cui il contributo è importante, ma limitato nel tempo. Essere Leading Authors significa un impegno costante per tutta la durata della stesura del rapporto (circa tre anni). Significa essere disponibili a sacrificare una parte non irrilevante del proprio tempo (lavorativo e non) a questo compito, e soprattutto significa essere disposti al dialogo con gli altri autori e con i revisori.
AC: sono ricercatrice presso ISAC-CNR da Aprile 2020. Sono stata convocata per contribuire alla stesura del sesto rapporto IPCC all’inizio del 2018, dopo essermi candidata tramite IPCC focal point italiano (al momento dell’apertura delle convocazioni). Quando mi è arrivata la lettera per confermare la mia adesione sono stata in realtà un pò indecisa. Mi sono chiesta ma quanto tempo mi chiederà questo incarico/ruolo? Poi ho accettato. E’ stata un’esperienza unica, sia dal punto di vista scientifico che dal punto di vista umano, e totalizzante. Ha occupato molto del mio tempo e delle mie energie, oltretutto nella fase finale della stesura del rapporto e della preparazione alla pubblicazione eravamo in pieno lockdown, con tutte le complicazioni del caso (e le calls anche in orari inusuali per rispettare la diversità del fuso orario delle persone coinvolte). Ho contribuito alla stesura del capitolo 8 sui “water cycle changes” (variazioni del ciclo dell’acqua) ma sono stata anche coinvolta nella preparazione e finalizzazione del Technical Summary e poi del Summary for Policymakers (Sintesi tecnica e Sommario per i responsabili politici). Quest’ultima parte è stata molto impegnativa perché comunicare la scienza e la sua complessità ai decisori politici potrebbe o forse dovrebbe essere un mestiere, non tutti (come scienziati intendo) siamo preparati per farlo.
SF: Per quanto mi riguarda, sono un ricercatore dell’ISAC-CNR “in pensione” da alcuni anni, ma continuo a collaborare con l’Istituto in modo volontario e senza compensi di alcun genere. È infatti molto difficile dare le dimissioni dalla scienza per chi l’ha praticata per più di 40 anni. Il mio coinvolgimento con IPCC è iniziato con il quarto Rapporto (2007), al quale ho contribuito come “Contributing Author” un livello di contributo limitato ad argomenti molto specifici. Nell’ambito del quinto Rapporto, sono stato poi nominato “Review Editor” un gruppo di referenti che si assicurano che tutti i suggerimenti che vengono dai revisori esterni siano presi in considerazione in modo appropriato nella stesura finale del Rapporto. In questo sesto Rapporto sono stato scelto come “Lead Author” per il capitolo 6 dal titolo “Short-lived climate forcers” (Forzanti climatiche a vita breve), data la mia lunga esperienza nello studio dell’interazione fra qualità dell’aria e cambiamenti climatici. Per ovvie ragioni anagrafiche non credo che parteciperò alla stesura del settimo Rapporto IPCC.
Qual è il ruolo dell’Italia nel settore dei cambiamenti climatici? Come è la relazione con gli altri autori provenienti da altri paesi?
SC: la ricerca Italiana si inserisce nel panorama internazionale. I ricercatori ISAC e quelli di altri istituti di ricerca e Università sono parte integrante della comunità scientifica internazionale e hanno rapporti costanti e continui con essa attraverso la partecipazione congiunta a progetti internazionali come quelli per esempio condotti nell’ambito del World Climate Research Program (WCRP – Programma mondiale di ricerca sul clima) del cui comitato direttivo per esempio io faccio parte. I ricercatori italiani sono inoltre attivamente coinvolti nei programmi di ricerca e sviluppo finanziati dalla Unione Europea che costituiscono in questo settore la principale fonte di finanziamento per la ricerca italiana.
AC: Siamo in continuo contatto e scambio con i colleghi di altri paesi anche attraverso la letteratura scientifica.
SF: L’Italia, a dispetto delle ben note carenze di finanziamento e di infrastrutture per la ricerca, è molto attiva nella ricerca sui cambiamenti climatici e i nostri ricercatori sono in genere molto stimati a livello internazionale. Nell’ambito dei Panel IPCC la collaborazione fra ricercatori di diversi paesi è una delle principali chiavi di successo. Anche in ambito scientifico vi sono conflitti, simpatie o antipatie, concorrenza, ma tutto è sempre giocato all’interno del dibattito delle idee per l’avanzamento scientifico.
Quale il messaggio più importante che emerge dal report (AR6) e che vorreste fosse colto non solo dai policy maker e dai decisori, ma soprattutto dalla società?
AC: Il messaggio più importante che vorrei fosse colto dai decisori politici e dalla società è che la conoscenza scientifica sta dando messaggi importanti e urgenti che devono essere presi in considerazione quanto prima. Soprattutto vorrei che fosse chiaro che quello che sta dicendo la scienza, che tutto quello che è stato raccolto e analizzato all’interno del report è frutto del lavoro di una comunità intera che negli ultimi anni ha migliorato le tecniche di analisi, le osservazioni e anche la modellistica numerica e la comprensione teorica del problema fisico che sta alla base del riscaldamento globale e delle possibili conseguenze climatiche globali.
SC: Mi piacerebbe che i decisori politici e la società tutta facessero propri i messaggi chiave di questo ultimo rapporto, ovvero, il cambiamento climatico sta già avvenendo ovunque e non vi è regione abitata della terra ove questo non stia già avendo un impatto riscontrabile in qualche fenomeno (per esempio nell’ aumento nella frequenza di eventi estremi di qualche genere e/o nell’ aumento nella loro intensità). Tale cambiamento è causato dalle attività umane e questi effetti sono destinati ad aumentare con l’aumento della temperatura media del pianeta, e se è vero che alcuni cambiamenti non potranno essere fermati, altri possono essere rallentati o addirittura arrestati se si deciderà di agire adesso con rapidità e perseveranza per diminuire e azzerare le emissioni di gas serra. Questo ultimo messaggio giunge forte e chiaro in quest’ultimo rapporto come mai prima e tutti noi che abbiamo partecipato alla sua stesura speriamo fortemente che finalmente queste informazioni, che la scienza fornisce alla società, siano utilizzate per prendere decisioni per il bene dell’umanità e delle generazioni future.
SF: I messaggi principali del Sesto Rapporto IPCC sono ben sintetizzati nel “Summary for Policy Makers”. I due messaggi più importanti che debbono essere ben colti da tutti sono, a mio avviso, i seguenti:
- è incontrovertibile che le attività dell’uomo stiano cambiando il clima della Terra, causando fenomeni estremi quali ondate di calore, precipitazioni intense ed eventi siccitosi più frequenti e intensi;
- se non verranno attuate misure di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, rapide, immediate ed estese a tutto il mondo, limitare il riscaldamento del clima a 1.5°C sarà impossibile.
Un chiaro avviso per tutti noi.
Al di là del vostro ruolo di analizzatori super partes delle 14.000 pubblicazioni scientifiche, quale è la vostra preoccupazione maggiore?
AC: Come scienziato la mia preoccupazione maggiore è che la società e la politica non si rendano conto di quanto sia serio il problema e di quanto siano chiare e inequivocabili le informazioni che emergono da questo e dai precedenti rapporti, cosi come da tutta la letteratura e la scienza coinvolta. Non è facile comunicare in modo chiaro e semplice argomenti così complessi, e soprattutto cosi impattanti per l’economia e la società.
SC: la preoccupazione è che, nonostante la chiarezza del messaggio, e l’impegno per comunicare questi risultati in modo chiaro e incontrovertibile, vi sia ancora come dire una certa “pigrizia” da parte della società civile nel recepire la gravità della situazione. Abbiamo tempo per intervenire, ma il nostro tempo è comunque limitato e se aspettiamo le modalità di intervento avranno un costo molto alto, talmente alto che forse non potrà essere affrontato da tutti i paesi. Davvero speriamo che ciò non avvenga.
SF: Ovviamente la mia preoccupazione maggiore è che il chiaro messaggio riassunto nelle due frasi riportate sopra non sia percepito nella sua urgenza dai governi del mondo; la COP 26 che si svolgerà nel mese di novembre ci dirà quanto questi timori siano fondati. È però ancora più importante che le preoccupazioni relative al cambiamento climatico vengano percepite da tutti i cittadini il cui ruolo di pressione verso i governi è fondamentale.
Cosa manca nel report, cosa avreste voluto assolutamente includere?
AC: Non saprei. Direi che abbiamo messo tutto quello che era possibile e fattibile mettere. Un aspetto innovativo quest’anno è stata la quantità e qualità delle informazioni climatiche a scala regionale, e forse è proprio su quello che si può fare ancora di più.
SC: Questo rapporto è molto ampio e affronta aspetti del cambiamento climatico mai considerati prima. Comunque si tratta di un rapporto, per cui si basa sul materiale scientifico pubblicato fino al 31 gennaio 2020. Ovviamente la scienza continua i suoi progressi, nuove ricerche sono in atto e fra qualche anno avremo informazioni ancora più dettagliate sul cambiamento climatico. Ma non possiamo permetterci di aspettare ancora, questo rapporto contiene già tutto ciò che è necessario per prendere decisioni ben informate.
SF: Il report del WGI IPCC (vi sono altri due Report, WGII e WGIII, usciti in questi mesi) esamina lo stato delle conoscenze sulla scienza del clima, tutto ciò che poteva essere detto è stato detto.
Se non sono emersi dalle risposte precedenti… Quali suggerimenti concreti vi sentireste di dare ai lettori di Rinnovabili.it?
AC: Da questo rapporto è evidente quanto sia importante che le azioni per ridurre le emissioni di gas ad effetto serra debbano essere collettive, a larga scala, ma soprattutto durature nel tempo per poter essere efficaci. Questo può far pensare che il ruolo del singolo sia meno importante, ritengo invece che il minimo che ognuno di noi può e deve fare sia mirato ad azioni nell’ottica di una riduzione degli inquinanti e della tutela dell’ambiente.
SC: Capire l’importanza di ciò che sta avvenendo e impegnarsi attivamente (ognuno per la sua parte) perché questo messaggio sia recepito. Sarebbe bellissimo se tutti i lettori di Rinnovabili.it si impegnassero su questo fronte.
SF: È importante che ogni cittadino sia cosciente che il contrasto al riscaldamento climatico non può essere solo demandato ai governi, che pure hanno la principale responsabilità nell’attuare politiche virtuose in questo senso, ma che ognuno di noi nella vita di tutti i giorni può (e deve) contribuire adottando importanti cambiamenti comportamentali per ciò che riguarda le scelte di mobilità, il risparmio energetico, il regime alimentare, la gestione dei rifiuti. Le azioni di tanti sommate possono portare a grandi riduzioni delle emissioni clima-alteranti.
di Paola De Nuntiis – ISAC-CNR