Un nuovo studio dell’università di Exeter in collaborazione con la Cornwall archaeological unit, l’università di Cardiff racconta di come sarà sempre più complesso analizzare il comportamento dell’uomo. La raccomandazione è di tenere in considerazione “le prospettive sociali e culturali delle popolazioni costiere” perché “saranno fondamentali per rispondere con successo ai cambiamenti climatici”
di Tommaso Tetro
(Rinnovabili.it) – Se il livello del mare dovesse aumentare per via dei cambiamenti climatici, la risposta dell’uomo non sarà semplicemente quella di un allontanamento dalla costa. Ma gli abitanti delle aree a rischio potrebbero mettere in campo azioni diverse, rendendo così maggiormente complessa l’analisi delle conseguenze dell’innalzamento delle acque. E’ questo il cuore di un nuovo studio condotto dall’università di Exeter in collaborazione con la Cornwall Archaeological Unit, l’università di Cardiff e altri quattordici istituti; base di partenza della ricerca è la scoperto secondo cui i cambiamenti sia nell’area terrestre che nelle culture umane avvenivano a ritmi variabili, e spesso fuori passo con il tasso prevalente di mare.
“Quando pensiamo all’innalzamento del livello del mare in futuro – ha affermato il principale autore dello studio, Robert Barnett dell’università di Exeter – dobbiamo considerare la complessità dei sistemi coinvolti, in termini sia di geografia fisica che di risposta umana”.
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Per questo secondo i ricercatori – che hanno esaminato 12mila anni di evoluzione di una grande isola che è nel corso del tempo si è trasformata in un gruppo di isole più piccole – l’innalzamento del livello del mare influenzerà la vita sulle coste e la società in modo “complesso e imprevedibile”. La mappa geografica presa come riferimento è quella delle attuali isole di Scilly, al largo della costa sud occidentale del Regno Unito; oltre 140 isole emerse da una singola isola in poco meno di 1.000 anni. Nei 12mila anni presi come periodo di riferimento è emerso che – grazie a nuove ricostruzioni del paesaggio, della vegetazione e della popolazione umana – durante un periodo compreso tra 5mila e 4mila anni fa la terra stava rapidamente scomparendo, rimanendo sommersa, a una velocità di 10mila metri quadrati all’anno.
Ma con la riorganizzazione delle coste, le persone cominciarono a adattarsi invece che abbandonare l’area. Le isole non vennero abbandonate ma al contrario sembra ci sia stata una “significativa accelerazione dell’attività”. Tra le possibili ragioni, anche se poco chiare, c’è per esempio la bassa profondità del mare abbiano offerto lo spunto per avviare nuove modalità di pesca e sostentamento; ma anche che queste zone a metà tra terra e mare siano diventati degli ecosistemi nuovi da sfruttare proprio per le sue caratteristiche uniche, portando nuove risorse alle comunità.
“La velocità con cui la terra scompare non varia soltanto in funzione dell’innalzamento del livello del mare, ma dipende dalla specifica geografia locale, morfologia e geologia – ha continuato Barnett – è probabile che le risposte umane siano ugualmente localizzate. E per esempio le comunità potrebbero avere validi motivi per rifiutarsi di abbandonare un luogo particolare”.
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Infine, la raccomandazione contenuta nella ricerca è che “le prospettive sociali e culturali delle popolazioni costiere saranno fondamentali per rispondere con successo ai cambiamenti climatici”.