Gli incendi in Canada hanno devastato 7,8 milioni di ettari di territorio
La stagione degli incendi in Canada l’anno scorso è stata la più distruttiva mai registrata. I roghi sono stati più di 6.100 e hanno devastato 7,8 milioni di ettari di terreno. Un’area grande all’incirca come la Repubblica Ceca o l’Austria. E più del doppio del record precedente che risaliva al 1989. Ma gli incendi in Canada hanno generato anche una quantità enorme di gas serra: 3 miliardi di tonnellate di CO2 (GtCO2).
Incendi in Canada, nel 2023 più emissioni dell’intera UE
Per mettere in prospettiva questo volume di emissioni, si tratta di una quantità maggiore di quella prodotta dall’intera Unione Europea, che l’anno scorso si è fermata a 2,5 GtCO2 (circa 3,5 Gt se si considerano tutti i gas serra, non solo l’anidride carbonica). O ancora: gli incendi in Canada hanno inquinato 4 volte di più dell’intero settore dell’aviazione globale. O come 650 milioni di auto in un anno, più del doppio di tutte quelle che circolano oggi in Europa.
Le nuove stime arrivano dal World Resource Institute (WRI). Che sottolinea: anche se i roghi sono stati “eccezionalmente gravi”, si inseriscono in “una tendenza crescente che vede gli incendi boschivi diventare sempre più frequenti e gravi”. La maggior parte di queste 3 GtCO2, però, “non saranno ufficialmente riportate nell’inventario globale delle Nazioni Unite, nonostante il loro contributo sostanziale al cambiamento climatico” per via dei metodi di calcolo delle emissioni usati dal Canada.
La tendenza è globale e non riguarda solo il Canada. Lo mostrano gli ultimi dati rilasciati da Copernicus sugli incendi nell’Artico. Il volume di emissioni di gas serra generati dai roghi nelle regioni più settentrionali del Pianeta, solo a giugno, è già al 3° posto tra i peggiori anni degli ultimi 2 decenni, dietro soltanto al disastroso biennio 2019-2020.
“L’Artico è il punto zero per il cambiamento climatico e i crescenti incendi in Siberia sono un chiaro segnale di allarme che questo sistema essenziale si sta avvicinando a pericolosi punti di non ritorno climatici”, sottolinea Copernicus.