Crescono gli impegni delle aziende sul clima. Ma hanno ancora poca coerenza, trasparenza e ambizione. Il punto più debole? Quasi mai i piani volontari parlano di abbandono delle fonti fossili. Non solo. Spesso le imprese hanno piani non allineati ai loro investimenti (e viceversa). Tralasciano considerazioni su ecosistemi e biodiversità e sulla transizione giusta. Sono carenti sul versante del monitoraggio esterno da fonti indipendenti.
Lo sostiene il rapporto “Integrity Matters”, presentato alla Cop29 di Baku dal Gruppo di esperti di alto livello dell’Onu guidato da Catherine McKenna. L’ex ministra dell’Ambiente del Canada e colleghi fanno il punto sull’andamento degli impegni climatici e obiettivi net-zero del settore privato.
Settore privato che svolge un ruolo cruciale nel guidare l’ambizione climatica e l’adattamento al climate change a livello mondiale. Riduzione delle emissioni dirette, investimenti in tecnologie pulite, influenza su catene del valore di portata globale, orientamento degli investimenti verso settori sostenibili: sono alcuni degli ambiti dove gli impegni delle aziende sul clima possono fare la differenza.
“Gli sforzi volontari non sono sufficienti per la portata e il ritmo del cambiamento che dobbiamo vedere”, ha affermato McKenna. “Abbiamo anche bisogno che i governi si facciano avanti e regolino gli impegni net zero per affrontare le questioni competitive e fornire certezza alle decisioni di investimento”. Sviluppi positivi in questo senso arrivano dall’UE, con la nuova direttiva CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive), e dalla California.
L’elefante nella stanza: l’addio alle fossili
Per queste ragioni, nel 2022 il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha creato il gruppo di lavoro affidato a McKenna, una degli architetti dell’Accordo di Parigi (ha facilitato i negoziati della Cop21 sull’articolo 6 del Paris Agreement, quello sui mercati del carbonio). Che cosa dice il 2° rapporto, presentato a Baku nei giorni scorsi?
Il campanello d’allarme suona per le fossili e il mancato avvio del percorso di abbandono graduale (ormai fissato anche nel processo delle conferenze sul clima, alla Cop28 di Dubai del 2023):
- I progressi sul phase out di petrolio, gas e carbone lato corporate sono limitati. Solo il 3% delle aziende petrolifere e del gas ha impegni per eliminare la produzione di combustibili fossili.
- Il confronto tra impegni e realtà è impietoso. Dal 2015, quando è stato approvato l’Accordo di Parigi, 57 aziende responsabili dell’80% delle emissioni del settore hanno aumentato la produzione.
- L’aumento è possibile anche perché c’è chi ancora lo finanzia. Le 60 maggiori banche private hanno finanziato i combustibili fossili per 6,9 mila miliardi di dollari dal 2015, di cui 3,3 mila miliardi per l’espansione. E i sussidi pubblici ai combustibili fossili sono arrivati a quota 7.000 miliardi, e non accennano a diminuire significativamente.
Allo stesso modo, gli impegni climatici delle imprese private non rispecchiano gli obiettivi globali di triplicare le rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030.
Impegni delle aziende sul clima: tanti, ma di bassa qualità
Gli impegni volontari e i piani di transizione sono “più diffusi” di 2 anni fa, ma “solo una frazione degli impegni, degli obiettivi e dei piani di transizione esistenti sono allineati a 1,5°C”. Il rapporto sintetizza così il problema di qualità che affligge l’azione delle imprese per il clima.
A livello generale emergono 3 grandi problemi degli impegni delle aziende sul clima:
- mancato allineamento con l’obiettivo di 1,5°C,
- mancanza di obiettivi intermedi,
- mancanza di trasparenza nelle strategie aziendali.
Tutte criticità che confluiscono nel capitolo, scivoloso, dei mercati del carbonio:
- Per allinearsi a 1,5°C bisogna soprattutto ridurre le emissioni alla fonte. Ma i crediti vengono spesso usati per evitare reali riduzioni dei gas serra;
- Solo il 5% delle aziende rende trasparente l’uso dei crediti di carbonio e specifica progetti con criteri identificativi univoci;
- Mancano regole che limitino l’uso dei carbon market (ad esempio, accettandolo solo per affrontare le emissioni residuali), e non esistono regole obbligatorie per garantire criteri come la permanenza e l’addizionalità.
Gli aggiornamenti degli enti che stabiliscono gli standard net zero pianificati per il 2025 devono aumentare la convergenza attorno a obiettivi, piani e linee guida di divulgazione ad alta integrità, aprendo la strada ai governi per imporre l’adozione e la divulgazione di piani di transizione climatica compatibili con l’accordo di Parigi. I piani ad alta integrità guidano l’azione.
C’è chi rema contro
Capitolo lobbying. Una parte preponderante delle attività di outreach delle aziende non è allineata agli obiettivi di Parigi. Secondo il monitoraggio più recente di InfluenceMap, citato nel rapporto, è in regola meno del 10% delle aziende.
Cosa significa tutto questo? I governi e l’opinione pubblica “non stanno ascoltando ciò di cui le aziende hanno bisogno per passare allo zero netto, soprattutto perché l’industria dei combustibili fossili continua a finanziare politiche e opposizione politica contro la transizione dai combustibili fossili”, scrivono gli autori del rapporto Onu.
Scarica qui il rapporto “Integrity Matters”