Tra 20 anni, secondo i principali modelli previsionali, con le politiche attuali raggiungeremo la soglia di 2°C di riscaldamento globale. Gli effetti del global warming non saranno distribuiti equamente. Uno studio ricostruisce le variazioni regionali delle principali variabili, tra cui stress termico, precipitazioni, umidità relativa, rischio incendi e velocità dei venti. Amazzonia e bacino mediterraneo sono le due aree che complessivamente subiranno di più l’impatto del climate change
Lo studio della NASA pubblicato su Earth’s Future
(Rinnovabili.it) – Senza nuove e più ambiziose politiche sul clima, raggiungeremo i 2 gradi di riscaldamento globale durante gli anni ’40. Nel 2041 nello scenario emissivo peggiore, nel 2044 in quello a basse emissioni. L’impatto di un clima a +2°C, però, non sarà distribuito equamente in tutto il Pianeta. Quali saranno gli effetti locali e regionali di questo cambiamento drastico del sistema climatico della Terra?
Lo ha indagato il NASA Ames Research Center in uno studio, pubblicato di recente su Earth’s Future, in cui dettaglia i cambiamenti per 6 variabili climatiche – tra cui la temperatura dell’aria, le variazioni di precipitazioni e umidità relativa, la velocità dei venti – e due indicatori di impatto climatico – lo stress termico e le condizioni meteo favorevoli all’innesco di incendi – a livello globale e regionale.
L’impatto di un clima a +2°C in Amazzonia
Da questa mappa del mondo a +2°C, una delle aree più critiche che emerge è il futuro dell’Amazzonia. È nella più grande foresta pluviale del mondo che si concentrano alcune delle variazioni più estreme legate all’impatto di un clima a +2°C.
Il bacino amazzonico, infatti, è la regione dove aumenterà di più in assoluto il numero di giorni con un indice di stress termico elevato, ma anche quella dove cresce di più la probabilità di incendi e dove pioverà di meno rispetto ai livelli attuali (-98 mm/anno), portando a decrementi record di umidità relativa (-1,7%). E probabilmente a problemi di approvvigionamento energetico, vista la rilevanza dell’idroelettrico nell’area.
Il clima del futuro in Europa e nel Mediterraneo
Uno degli impatti più significativi, e meno considerati, di un clima 2 gradi più caldo di quello pre-industriale in Europa riguarda l’affidamento sull’energia eolica per decarbonizzare il mix elettrico del continente. Il Nord Europa sta puntando molto sull’energia dal vento, inclusa quella offshore, per ridurre il ruolo di petrolio e gas. Ma sforare il limite superiore dell’Accordo di Parigi farà diminuire la velocità dei venti in tutta la regione.
“L’area extratropicale più settentrionale mostra una velocità del vento in diminuzione, mentre un modello in aumento è osservabile nella maggior parte dell’emisfero meridionale”, si legge nello studio della NASA. “È degna di nota una forte diminuzione della velocità del vento sul Nord America centrale (-0,13 m/s) e orientale (-0,11 m/s), sull’Europa settentrionale (-0,12 m/s) e sul Tibet (-0,11 m/s)”.
Per l’area del Mediterraneo, invece, lo studio conferma le tendenze di lungo periodo e le criticità connesse già messe in luce negli ultimi anni da una serie di studi sul tema. L’area del Mare Nostrum, e quindi l’Italia, diventerà un hotspot del cambiamento climatico non tanto per l’aumento relativo della temperatura dell’aria, che è prevista attorno ai due gradi e con poca variazione a seconda degli scenari emissivi che imboccheremo, mentre per altre regioni, come la Groenlandia, un mondo 2°C più caldo si traduce in temperature che sfioreranno i +4°C.
Saranno invece i cali, significativi, nelle precipitazioni e nell’umidità relativa – seconde solo a quelle che toccheranno Amazzonia e America centrale – a caratterizzare la regione. Che si intrecceranno con l’aumento dello stress termico, a livelli tra i massimi al mondo. Per l’Italia, la variazione più significativa è prevista soprattutto al Centro-Nord e sulle isole maggiori. Molto più elevato sarà anche il rischio di incendi.