di Tommaso Tetro
(Rinnovabili.it) – La produzione agricola globale non dovrebbe diminuire fino al 2050 ma le aree di produzione cambieranno radicalmente, con una maggiore variabilità dei rendimenti annuali e l’aumento della volatilità dei prezzi delle materie prime; cosa che contribuirà a innescare delle modifiche nei modelli di coltivazione, nel commercio internazionale e nei mercati regionali. Questo quanto emerge dal rapporto che l’Agenzia europea per l’ambiente (Eea) ha dedicato a come i cambiamenti climatici influenzeranno il settore agricolo e a quello che serve per mettere in campo azioni di adattamento.
In particolare, in base ai risultati di un progetto infatti fino al 2050 le rese del mais diminuiranno tra l’1% e il 22% nell’Ue, mentre le rese del grano nell’Europa meridionale fino al 49%. Nell’Europa settentrionale è previsto invece che i raccolti aumenteranno tra il 5% e il 16%.
Quello che accade in Europa, tenendo presente che è autosufficiente per quanto riguarda i cereali e gli ortaggi, è che i prodotti tropicali importati e le materie prime per l’alimentazione e la gestione degli allevamenti diventeranno fragili, sia per la via della produzione concentrata soltanto in pochi Paesi sia per gli impatti dei cambiamenti climatici. Quasi un quarto del cibo per il consumo umano è scambiato sui mercati internazionali; ma questa proporzione varia a seconda della merce. Per riso, burro e maiale è inferiore al 10%; per soia, oli vegetali, pesce e zucchero supera il 30%; mais, manzo e frumento sono rispettivamente con il 12%, 15% e 24%.
La previsione ci racconta che queste proporzioni rimarranno stabili per il prossimo decennio ma aumenteranno leggermente entro la metà del secolo a causa dei cambiamenti climatici. Inoltre l’Europa è un importante esportatore di alimenti trasformati e prodotti derivati da latte e, in generale, è autosufficiente sugli alimenti di base come i cereali (grano, orzo) e le verdure. Ma l’Europa dipende fortemente dalle importazioni di prodotti per l’alimentazione animale (soia e mais); prodotti coltivati nelle regioni tropicali (cacao, caffè, banane); e prodotti per la trasformazione secondaria (per esempio olio di palma, barbabietola e zucchero di canna).
Diventerà allora necessario – viene spiegato – uno spacchettamento del commercio per ridurre i rischi, ampliare il perimetro verso più Paesi, e diversificare le importazioni. Ma – avverte – si tratta di un’azione che privilegia i privati e meno le politiche pubbliche. A queste ultime viene affidato il compito di allentare i pericoli di approvvigionamento riducendo del tutto la domanda di prodotti ‘fragili’; un elemento da introdurre soprattutto per i prodotti sottoposti a elevate pressioni ambientali. L’Europa deve imprimere maggiore forza all’adattamento e alla mitigazione – anche in chiave internazionale – ai cambiamenti climatici, puntare sulla sostenibilità quando mette a punto accordi commerciali e su investimenti adeguati.