di Isabella Ceccarini
Esiste un legame diretto tra crisi climatica e degrado dell’ambiente marino?
Certamente, anche perché il mare gioca un ruolo da protagonista nei cambiamenti climatici. È un organismo che ha impiegato milioni di anni per mettere in equilibrio i vari soggetti. Il mare produce più del 50% di ossigeno, assorbe un terzo dell’anidride carbonica – dalla rivoluzione industriale a oggi il mare ne ha assorbita una quantità enorme – ed è un grande regolatore del clima con le correnti e le maree.
Il 71% del Pianeta è acqua e quest’acqua ci fa vivere. Pochi sanno che il 98% del territorio abitato dalla vita è nel mare. Il mare può esercitare questo ruolo straordinario soltanto se è in buona salute.
Continuiamo a prelevare dissennatamente dal mare, l’overfishing sta distruggendo un equilibrio – in nome della pesca si rovinano i fondali, si distruggono le posidonie, piante di grande valore ecologico che producono ossigeno e ostacolano l’azione erosiva delle onde – per non parlare dell’inquinamento chimico e batteriologico.
Abbiamo pensato che il mare fosse il luogo dove buttare i nostri rifiuti perché aveva una tale forza rigeneratrice da poter assorbire di tutto. Invece il mare non ce la fa più. Siamo arrivati al punto che non riesce più ad assorbire anidride carbonica e quella che ha assorbito ha acidificato gli oceani. Il ph è stato modificato provocando gravissimi danni, come vediamo ad esempio con la distruzione dei coralli.
Non siamo coscienti di quello che succede nel mare perché ci consideriamo “di terra”: vediamo solo quello che calpestiamo senza una visione globale della vita del nostro Pianeta. Invece abitiamo tutti sullo stesso Pianeta, dove il mare è uno, l’acqua è una, va nelle nuvole e poi ritorna. Se distruggiamo l’acqua distruggiamo la possibilità di continuare a vivere sulla Terra.
Si è appena conclusa la COP26. Quali accordi sono stati stabiliti per tutelare la salute del mare?
Nessuno in particolare, infatti il mare è stato uno dei grandi assenti. Si parla di terra, di aria, ma nessuno focalizza l’importanza del mare e l’abbiamo fato notare. Il mare in questi dibattiti è sempre un po’ una Cenerentola.
Ci si preoccupa che il mare si alzi di livello di livello perché scompariranno Venezia o le Maldive, ma il problema è l’alterazione di un equilibrio che si è formato in milioni di anni. Stiamo letteralmente depredando un ecosistema dove tra un po’ non ci sarà più posto per l’uomo.
Non sembra realistico pensare di intervenire sul cambiamento climatico trascurando il mare. Quali conseguenze comporterebbe la mancanza di provvedimenti in materia?
In estrema sintesi la scomparsa della specie umana dal Pianeta. Se il mare non riesce più a esercitare le sue funzioni non ci sarà più l’ossigeno. Stiamo distruggendo le foreste e il mare, entrambi fondamentali per l’ossigeno. Il Pianeta di rigenera, troverà un altro equilibrio, sarà la specie umana a scomparire.
Ho notato in più occasioni che le donne hanno questa consapevolezza a livello istintivo, probabilmente perché hanno il senso della conservazione della specie e un maggiore senso della solidarietà.
A molti sembra irrilevante l’innalzamento del livello del mare di qualche centimetro. Perché non è una questione marginale?
L’innalzamento del livello del mare creerà problemi giganteschi alle popolazioni costiere che dovranno abbandonare le loro case e i loro territori. Le proiezioni dicono che ci saranno tra 900milioni e un miliardo di migranti climatici. I terreni non potranno più essere coltivati a causa della progressiva salinizzazione.
L’innalzamento è quindi molto legato alle attività umane e le conseguenze saranno non solo ambientali, ma anche sociali ed economiche.
È stata da poco approvata in Senato la Legge Salvamare. Cosa cambia in Italia con questo provvedimento? È sperabile l’approvazione definitiva in tempi brevi di una legge che ancora una volta porterebbe l’Italia in prima fila nella difesa dell’ambiente?
La Legge Salvamare consente ai pescatori di portare a terra i rifiuti che restano impigliati nelle reti, una cosa che attualmente è illegale e li costringe a ributtarli in mare. Alcuni Comuni e alcune marinerie hanno fatto degli “esperimenti” per dimostrare che recuperare è possibile: ovviamente a terra ci vorranno delle filiere per la raccolta, il trasporto e poi il trattamento di questi rifiuti.
Noi abbiamo un’idea ancora più avanzata, una nostra proposta che non rientra nella legge: produrre energia dai rifiuti raccolti in mare con il pirolizzatore, che dai rifiuti potrebbe produrre energia pulita per il porto.
Altro tema molto forte è quello dello sbarramento dei fiumi: i fiumi trasportano più dell’80% dei rifiuti e delle plastiche che finiscono nel mare. Finché sono galleggianti e li trasporta il fiume riusciamo a raccoglierli, quando arrivano al mare affondano: ne vediamo solo il 15%, l’85% finisce nei fondali e non è più recuperabile.
Quindi perché non predisporre degli sbarramenti per raccogliere i rifiuti portati dai fiumi? È chiaro che bisogna agire a monte con l’educazione, non buttare i rifiuti, agire in ottica di economia circolare… Però nel frattempo cerchiamo di non farli entrare in mare! Il sistema è stato sperimentato con successo sul Po e sul Tevere. La Legge Salvamare prevede di allargare la sperimentazione ad altri tre fiumi.
Parliamo delle microfibre: chiediamo che in etichetta sia specificata la percentuale di sintetico. Le microfibre sono un nemico più grosso delle bottigliette o dei sacchetti perché è invisibile. Con il lavaggio le microfibre finiscono nei fiumi e poi nel mare, i pesci le mangiano perché le scambiano per plancton ed entrano nella catena alimentare. Sono stati trovati dei frammenti di microplastiche perfino nella placenta delle donne.
Si sta facendo molta ricerca sugli effetti delle microplastiche sui pesci: una ricercatrice di Catania ha trovato microplastiche negli occhi dei pesci, che sono diventati ciechi. Allora facciamoci una domanda: come li abbiamo trovati nella placenta delle donne, e ci sembra quasi banale, cosa ci succede se queste microplastiche finiscono nei nostri occhi?
Un altro aspetto importante della Legge Salvamare è la ricerca di impatto sui dissalatori. I dissalatori sono una grandissima risorsa perché abbiamo un enorme bisogno di acqua, ma creano tantissimi problemi legati al residuo della dissalazione: come deve essere gestito? Certo, non va buttato in mare.
Portiamo avanti tra mille difficoltà progetti educativi e campagne di pulizia: o non abbiamo i permessi o non sappiamo dove mettere i rifiuti che raccogliamo. In questo la Legge Salvamare ci aiuta non solo come associazione ambientalista, ma come cittadini.
È una legge concreta che va al cuore di molti problemi, anche se non può risolverli tutti. Sicuramente con la sua approvazione definitiva l’Italia farebbe un grande passo avanti sulla legislazione relativa all’ambiente anche nei confronti dell’Europa.
Marevivo, insieme ad altre associazioni, chiede l’introduzione del deposito cauzionale per gli imballaggi per le bevande monouso. Che impatto avrebbe su raccolta e il riciclo? Permetterebbe di raggiungere gli obiettivi richiesti dall’Europa in tema di economia circolare?
Sì, senza dubbio. Gli esperimenti fatti in Europa dimostrano che è l’unico modo per avere un recupero vero delle bottiglie, e quindi del PET. Il PET è un materiale molto prezioso nell’ambito delle plastiche perché può essere riutilizzato per fare altre bottiglie, quindi innesca una forma di economia circolare perfetta. Oggi molto PET viene usato per fare capi di abbigliamento, invece deve rientrare assolutamente nel circuito delle bottiglie per diventare veramente utile.
In Germania, ad esempio, la raccolta delle bottiglie immesse nel mercato è arrivata al 98%, quindi è un sistema che funziona benissimo. Non è un vuoto a rendere, ma un deposito cauzionale, ovvero ogni volta che compri una bottiglia paghi una cauzione che ti viene restituita quando la riporti, ovunque la riporti.
In Italia, a parte la direttiva SUP (Single Use Plastics, che mette al bando la plastica monouso), abbiamo una norma all’interno del decreto semplificazioni che già prevede la creazione di sistemi di deposito cauzionale, quindi siamo già un passo avanti dal punto di vista normativo. Potremmo anche accelerare e cominciare a lavorarci da subito; noi spingiamo molto per questa soluzione perché crediamo che sia l’unico modo per arrivare a un risultato concreto.
In Italia si consumano 11 miliardi di bottiglie di plastica, l’80% non si recupera. A parte il discorso ambientale che è importantissimo, è un valore economico enorme. Quindi è assolutamente necessario agire con una certa rapidità, ogni ora che tardiamo centinaia di migliaia di bottiglie finiscono nell’ambiente.
Alcune aziende, come Ferrarelle, riescono a riciclare le loro bottiglie perché c’è un mercato dove è possibile recuperare il PET, in più in Italia quest’anno è entrata in vigore una legge importantissima: fino all’anno scorso potevamo fare bottiglie solo con il 25% di PET riciclato, ora con il 100%.
Quindi le aziende che hanno investito nei sistemi di produzione da PET riciclato si trovano in una situazione molto favorevole (Ferrarelle produce una linea da riciclo 100% per bar e ristoranti e una 50% per i supermercati). Tuttavia il mercato del PET è molto instabile perché il sistema di recupero non funziona bene. Se ci fosse un sistema di recupero migliore, il mercato sarebbe alimentato meglio e si potrebbe incrementare l’economia circolare.