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I primi 50 progetti sul mercato dei crediti di carbonio sono spazzatura

crediti di carbonio
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L’analisi di Corporate Accountability e The Guardian mette a nudo la falla nei mercati volontari dei crediti di carbonio

(Rinnovabili.it) – Le prove contro i meccanismi finanziari che producono crediti di carbonio cominciano a diventare troppe. La realtà è ormai evidente: questi sistemi di compensazione delle emissioni sono inaffidabili e mendaci. Tuttavia, è proprio su di essi che è imperniato l’Accordo di Parigi, come il precedente Protocollo di Kyoto. 

Lo scambio delle emissioni sul mercato è critico, perché raramente i progetti che producono crediti di carbonio reggono alla prova dei fatti. I mercati della CO2 hanno diverse forme, tutte controverse. Ma il meccanismo più difficile da difendere è quello delle compensazioni volontarie (carbon offset). Una nuova analisi portata avanti congiuntamente da Corporate Accountability e The Guardian diffonde oggi altre prove contro la sostenibilità del sistema.

“La stragrande maggioranza dei progetti ambientali più frequentemente utilizzati per compensare le emissioni di gas serra sembrano avere carenze fondamentali”, scrive la testata internazionale. Dunque, “non si può fare affidamento su di essi per ridurre le emissioni che riscaldano il pianeta”.

Secondo i criteri adottati nell’analisi, 39 dei 50 principali progetti di compensazione delle emissioni sono da classificare come spazzatura. Altri 8 sono spazzatura “probabile”, perché hanno difetti di base, mentre nei restanti 3 mancano le informazioni sufficienti per fare una valutazione. Eppure, questa montagna di economia di carta ha mosso oltre 1,1 miliardi di dollari fino ad oggi, pari a un terzo di tutto il mercato volontario delle carbon offsets. “Nella nostra analisi”, spiega il Guardian, “un progetto è stato classificato come probabile spazzatura se c’erano prove convincenti o un alto rischio che non potesse garantire ulteriori tagli permanenti ai gas serra”.

Tutto queto è possibile perché le compensazioni si basano su un mercato volontario, ancora meno regolamentato di quello “ufficiale”. Qui, società di certificazione scrivono progetti di dubbia sostenibilità che poi vendono agli investitori che preferiscono pagare la riduzione di emissioni all’estero piuttosto che rivedere i propri modelli produttivi. Governi, organizzazioni e aziende hanno investito pesantemente negli schemi di compensazione del carbonio. In particolare compagnie fossili, compagnie aeree, marchi di fast food, case di moda, aziende tecnologiche e università. Comprare crediti di carbonio, finanziando ad esempio progetti di salvaguardia delle foreste come carbon sink, è un modo per dimostrare di aver ridotto la propria impronta ecologica. 

Ma se i conti non tornano, e lo stoccaggio addizionale della CO2 grazie al progetto non è dimostrato, c’è qualcosa che non va. Spesso infatti i benefici dei progetti sono esagerati e gli scenari truccati. Perciò gli investimenti vanno in programmi che non hanno nessun impatto migliorativo rispetto allo scenario di base. Tuttavia, permettono agli investitori di dichiarare di aver contribuito alla rimozione di gas serra. Questo castello di carte sta ormai crollando, e con esso un pezzo importante degli impegni climatici pubblici e privati.

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