Da anni l’Australia combatteva per evitare il declassamento, che avrebbe certificato la sua mancata azione contro il cambiamento climatico. Dall’ultimo assessment dell’agenzia Onu nel 2015 si sono verificati 3 grandi eventi di sbiancamento che hanno colpito più di 2.300 km di barriera
Per Canberra, c’è la Cina dietro la decisione sulla Grande Barriera Corallina
(Rinnovabili.it) – La Grande Barriera Corallina deve essere inserita nella lista Unesco dei siti considerati “in pericolo”. Il cambiamento climatico sta mettendo seriamente a rischio la sopravvivenza di questo delicatissimo ecosistema e l’Australia dovrebbe mettere in campo una “azione accelerata a tutti i livelli possibili” per contrastare l’impatto del climate change. Lo sostiene il comitato dell’agenzia Onu per l’educazione, la scienza e la cultura che si occupa di rivedere la lista a scadenze regolari.
Per quanto possa sembrare strano, la Grande Barriera Corallina finora non era stata inserita tra i siti in pericolo. Anche se negli ultimi 6 anni ripetuti eventi di sbiancamento dei coralli, provocati dall’aumento delle temperature dell’oceano, hanno causato immani morie di ampi settori della barriera. Eventi di coral bleaching che hanno messo in allarme la comunità scientifica e portato la pressione sul governo australiano a livelli altissimi.
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C’è una questione tutta politica, dietro la classificazione della Grande Barriera Corallina. Canberra si è sempre opposta al peggioramento dello status dell’ecosistema. Un po’ perché teme i danni al comparto turistico. Ma soprattutto perché sarebbe una certificazione, per di più in sede Onu, dell’inazione climatica del paese. L’Australia è fortemente dipendente dal carbone e, tra le economie più avanzate, è quella con la politica climatica più blanda. Tanto da non aver mai sottoscritto l’impegno a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.
Infatti la reazione politica del governo australiano non si è fatta attendere. L’esecutivo ha annunciato che farà appello contro questa decisione, che può diventare definitiva già nel giro di un mese. E ha puntato il dito contro la Cina, che secondo camberra ha utilizzato la sua influenza all’Unesco per punirla. Tra i due paesi è in corso un braccio di ferro politico e commerciale e le relazioni sono peggiorate dal 2020.
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Gioiscono le associazioni ecologiste, da anni sulle barricate per promuovere politiche di tutela della Grande Barriera Corallina. “La raccomandazione dell’Unesco è chiara e inequivocabile, il governo australiano non sta facendo abbastanza per proteggere il nostro più grande bene naturale, in particolare sui cambiamenti climatici”, ha affermato al Guardian Richard Leck, responsabile degli oceani per il World Wide Fund for Nature-Australia.