La comunità scientifica lo ha rinominato ghiacciaio del giorno del giudizio perché, se si sciogliesse completamente, di farebbe aumentare il livello dei mari in tutto il mondo di 60 cm. Un nuovo studio conferma la sua instabilità, ma getta nuova luce sull'esatta dinamica con cui si sta sciogliendo
Uno studio sul ghiacciaio Thwaites dell’Università del Michigan
(Rinnovabili.it) – Si è guadagnato il soprannome di “giorno del giudizio” tra la comunità scientifica, e a intervalli regolari ricompare sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Il ghiacciaio Thwaites, uno dei più grandi dell’Antartide, ed è anche considerato uno dei più instabili. Il ritmo del suo scioglimento preoccupa gli scienziati, visto che potrebbe far aumentare il livello del mare in tutto il mondo di circa mezzo metro. Una nuova ricerca dell’università del Michigan si stacca dal coro e fornisce nuovi elementi per valutare quanto è davvero a rischio.
Il ghiacciaio Thwaites è instabile…
Solo nell’ultimo anno, due ricerche sul ghiacciaio Thwaites hanno rinnovato l’allarme. Lo scorso settembre, uno studio aveva scoperto che sotto il ghiacciaio sono presenti degli enormi canali che consentono all’acqua marina, più calda, di entrare in contatto con la calotta e accelerarne lo scioglimento. Ad aprile, invece, un secondo studio aveva rivelato che il gioco di correnti sottomarine convoglia più acqua caldo del previsto nei pressi del ghiacciaio. Ciò contribuisce a spiegare il ritmo accelerato con cui il gigante ghiacciato si sta sciogliendo: la perdita di volume e quasi raddoppiata negli ultimi vent’anni, ormai scompaiono 35 miliardi di tonnellate ogni anno.
Tutto ciò rende il ghiacciaio Thwaites molto instabile. La fusione, infatti, accelera lo scorrimento della massa ghiacciata in direzione dell’oceano antartico, che a sua volta è facilitata dallo scioglimento più rapido che si registra nel ghiaccio marino. Secondo un terzo studio pubblicato nel 2019, questo processo sarebbe così veloce che l’intero ghiacciaio, che si estende per oltre 120mila km2 ovvero una superficie grande quasi 100 volte la città di Roma, potrebbe sciogliersi completamente nell’oceano nel giro di appena 150 anni. In più, questo ghiacciaio sarebbe in qualche modo collegato con un altro gigante antartico, il ghiacciaio Pine Island che ci trova più ad est. Lo scioglimento dell’uno può facilitare la destabilizzazione dell’altro.
Instabilità non significa scioglimento
La ricerca dell’università del Michigan porta nuovi dati che aggiungono sfumature importanti a questa dinamica complessa. Il nocciolo nello studio, in breve, sostiene che instabilità non significa scioglimento accelerato. Sono diversi i fattori che aumentano la velocità di scorrimento del ghiacciaio e la facilità con cui può collassare.
“Quello che abbiamo scoperto è che per lunghi periodi di tempo, il ghiaccio si comporta come un fluido viscoso, una specie di pancake che si allarga in una padella”, spiega Jeremy Bassis, tra gli autori dello studio. “Quindi il ghiaccio si allarga e si assottiglia più velocemente di quanto possa cedere e questo può stabilizzare il collasso. Ma se il ghiaccio non può assottigliarsi abbastanza velocemente, è allora che hai la possibilità di un rapido collasso del ghiacciaio”.
A questi risultati virgola e ricercatori sono giunti dopo avere ricalcolato l’impatto dello scioglimento del ghiacciaio Thwaites su quelle che sono note come scogliere di ghiaccio, cioè delle formazioni verticali che si creano nei punti in cui la massa ghiacciata incontra l’acqua nel mare. Finora, la comunità scientifica riteneva che quando queste formazioni superano una certa altezza, a causa dello scioglimento del ghiacciaio a monte, aumenta considerevolmente il rischio che si disintegrino in poco tempo. I ricercatori dell’università americana hanno combinato per la prima volta le variabili del cedimento del ghiaccio e quelle del flusso di ghiaccio, arrivando a un maggior dettaglio nell’esatta dinamica delle scogliere di ghiaccio. Risultato: l’allungamento e l’assottigliamento del ghiaccio possono moderare gli effetti dell’instabilità della scogliera di ghiaccio marino.