La 1° ricostruzione completa dei ghiacciai della Svizzera dal 1931 è pubblicata su The Criosphere
(Rinnovabili.it) – In 85 anni, fra il 1931 e il 2016, i ghiacciai della Svizzera hanno perso più o meno il 50% del volume. Una tendenza che continua ad accelerare sotto i colpi della crisi climatica. Nei 6 anni successivi, lo scioglimento dei ghiacciai ha fatto sparire un ulteriore 12% di volume. Lo ha calcolato un nuovo studio condotto dal politecnico di Zurigo pubblicato sulla rivista The Criosphere.
Solo pochi ghiacciai della Svizzera sono studiati con regolarità da decenni, consentendo di costruire serie storiche affidabili e complete. Per molti altri le informazioni sono frammentarie. Un team dell’ETH guidato da Erik Schytt Mannerfelt ha ricostruito l’immagine più completa dell’evoluzione dei ghiacciai elvetici, basandosi sia sulle rilevazioni sul campo, sia sull’analisi di circa 20mila fotografie, scattate tra il 1916 e il 1947, da cui i ricercatori hanno estrapolato dei valori mediani riferibili al 1931.
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Nel complesso, la ritirata dei ghiacciai svizzeri si è sviluppata con una perdita di volume del 51,5%, valore che ha un margine di errore dell’8%. La riduzione dell’area coperta da ghiacci perenni arriva a una media di 6,2 km2 l’anno, per un totale di circa 1/3 dell’area complessiva.
“I nostri risultati indicano una forte variabilità spaziale nell’assottigliamento dei ghiacciai, con i ghiacciai del nord-est che perdono massa due volte più rapidamente di quelli del sud-ovest della Svizzera”, scrivono i ricercatori nelle conclusioni dello studio. “Questa variabilità è in parte spiegata dal fatto che le perdite di massa sono più pronunciate per i ghiacciai a un’altitudine mediana inferiore, con parti terminali su terreni con minor inclinazione e con un’elevata frazione di copertura detritica”.
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“Il ritiro dei ghiacciai sta accelerando. Osservare da vicino questo fenomeno e quantificarne le dimensioni storiche è importante perché ci permette di dedurre le risposte dei ghiacciai a un clima che cambia”, ha dichiarato Daniel Farinotti, co-autore dello studio.