Uno studio dell’università di Newcastle analizza 7.600 creste di corrugazione disseminate in 30mila km2 di fondale al largo della Norvegia e ricostruisce il tasso di ritiro delle lingue glaciali durante l’ultima deglaciazione, tra 20.000 e 12.000 anni fa
I segreti della fusione dei ghiacciai sono scritti sui fondali della Norvegia
(Rinnovabili.it) – Un “campanello d’allarme dal passato” che proviene dai sedimenti dei fondali marini della Norvegia. E mette in guardia sul ritmo al quale può procedere la fusione dei ghiacciai durante le fasi di riscaldamento globale, come quella in corso. In passato, la velocità di fusione delle lingue glaciali ha raggiunto anche i 600 metri al giorno. Venti volte più rapida di quanto sia mai stato misurato finora.
È quanto emerge da uno studio pubblicato su Nature e guidato dall’università di Newcastle, che si è concentrato sulle “creste di corrugazione”, increspature del fondale alte circa 2,5 metri che si trovano al largo della Norvegia e sono distanziate a intervalli che vanno dai 25 ai 300 metri. Come si sono formate e perché è importante per capire meglio l’evoluzione della crisi climatica oggi?
Ricostruire i picchi di fusione dei ghiacciai
Queste creste sono l’impronta della scomparsa dei ghiacciai durante l’ultimo grande periodo di deglaciazione avvenuto all’incirca tra 20.000 e 12.000 anni fa. Si sono formate quando il limite della calotta glaciale in ritirata viene alzato e abbassato dal ciclo mareale, spingendo i sedimenti del fondo marino in una cresta a ogni bassa marea. È quindi facile calcolare di quanto i ghiacciai si siano ritirati in un giorno, ovvero nel corso di due cicli di marea: tra i 50 e i 600 metri.
Il valore massimo, 600 metri al giorno, è significativamente più alto di quanto sia mai stato misurato finora, sia da rilevazioni satellitari che dall’analisi delle creste attorno all’Antartide, per l’ultima deglaciazione. “La nostra ricerca fornisce un avvertimento dal passato sulle velocità con cui le calotte glaciali sono fisicamente in grado di ritirarsi”, spiega Christine Batchelor, prima autrice dello studio. “I nostri risultati dimostrano che gli impulsi di ritiro rapido possono essere molto più rapidi di quanto abbiamo visto finora”.
È un dato che mette in guardia rispetto alla comprensione della fusione dei ghiacciai in corso. I dati dell’ultima deglaciazione mostrano che il ritiro delle lingue glaciali ha dei picchi di rapidità che, benché di durata relativamente breve (al massimo qualche mese), possono incidere molto sull’evoluzione complessiva del fenomeno. Una dinamica che i nostri modelli climatici per ora non contemplano.