Lo studio sugli estremi climatici è apparso su Communications Earth & Environment
(Rinnovabili.it) – Negli ultimi 40 anni, le ondate di caldo a livello globale sono cresciute in media di oltre 3 gradi al decennio, mentre le ondate di freddo hanno fatto calare sempre meno il termometro, perdendo quasi 5 gradi ogni 10 anni. Una situazione che non è affatto omogenea in tutto il globo. E che vede i massimi slittamenti degli estremi climatici nel Mediterraneo e nei tropici.
Leggere l’andamento del freddo estremo in parallelo con quello del caldo estremo dà un’immagine più accurata dell’impatto del cambiamento climatico. “Gli eventi climatici estremi sono associati a una notevole mortalità e morbilità, e hanno anche impatti economici e ambientali catastrofici in termini di produzione agricola, produttività del posto di lavoro, biodiversità, incendi, qualità dell’aria e dell’acqua, costi di raffreddamento/riscaldamento e infrastrutture pubbliche”, spiegano gli autori dello studio pubblicato su Communications Earth & Environment.
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Il Medio Oriente e il Nord Africa, compresa la regione mediterranea, si sono distinti come un hotspot globale per lo spostamento verso un clima in cui prevale il caldo estremo, con un rapido e significativo aumento degli estremi climatici caldi e una diminuzione del freddo estremo.
Ma lo slittamento più rapido è stato registrato ai tropici. È in questa fascia che si trova circa il 70% della superficie terrestre dove negli ultimi 4 decenni si è verificato l’aumento maggiore degli estremi di caldo. In particolare, gli hotspot globali sono localizzati nell’Amazzonia meridionale, nei lembi più a sud del Medio Oriente, e nell’Australia nord-occidentale.
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Al contrario, e forse in modo controintuitivo, lo slittamento verso un clima caratterizzato da estremi climatici più caldi risulta più lento nella fascia polare. Il che non significa che questa regione non abbia un clima sempre più sconvolto, ma solo che il ritmo del cambiamento complessivo tra ondate di caldo e freddo estremi è più lento che altrove. E in ogni caso, il 55% della superficie polare registra uno slittamento marcato verso il caldo, anche se è un dato ben più basso dell’80% medio registrato in tutte le altre fasce climatiche.