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L’inganno delle emissioni residue

Uno studio pubblicato su One Earth analizza i piani di transizione a lungo termine di 71 paesi responsabili del 71% delle emissioni globali. Oltre la metà non quantifica le emissioni residue che prevede di generare quando raggiungerà net zero. Solo 26 lo fanno. Ma le definizioni di “residue” sono vaghe o assenti

Emissioni residue: possibili forzature per includere le fossili
Foto di Marek Piwnicki su Unsplash

L’agricoltura è il settore da cui i paesi si aspettano più emissioni residue. Quando lo dichiarano

L’etichetta ‘emissioni nette zero’ potrebbe permettere a molti stati di “mantenere o espandere la loro produzione di combustibili fossili”. Anche se l’estrazione e la messa in produzione di nuovi giacimenti è incompatibile con l’obiettivo di 1,5 gradi di riscaldamento globale. E nonostante l’IPCC spieghi che gli scenari emissivi che rispettano l’Accordo di Parigi necessitano di una riduzione corposa e rapida delle emissioni fossili. Emissioni che – con i criteri attuali – questi paesi potrebbero far passare come emissioni residue.

Lo sottolinea uno studio apparso sulla rivista scientifica One Earth in cui gli autori hanno analizzato i piani di transizione a lungo termine di 71 paesi, che insieme sono responsabili del 71% delle emissioni globali di gas serra.

Definizioni vaghe (quando esistono) di emissioni residue

Tutto ruota attorno alla definizione di emissioni residue. In teoria, dovrebbero essere quelle provenienti dai settori cosiddetti hard-to-abate, quelli per cui le soluzioni per ridurre i gas serra sono meno economicamente convenienti o meno efficaci. Ma chi decide cos’è hard-to-abate e cosa non lo è? Per le regole internazionali in vigore, gli stati.

Stati che nelle strategie di lungo termine depositate all’Onu, finora, di solito si guardano bene dallo specificare cosa considerano emissioni residuali. Secondo lo studio, la maggior parte (41 su 71) non quantifica proprio le emissioni residuali che conta di generare ancora nel lungo periodo. Tra questi paesi figurano alcuni dei maggiori inquinatori mondiali come Cina, India e Russia.

Solo 26 paesi danno una stima. In tutto, queste emissioni arrivano a 2,6-2,9 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente. Che dovrebbero essere compensate principalmente tramite tecnologie per il sequestro della CO2, per le quali tuttavia non esiste ancora una capacità a scala adeguata e, da più parti, si mette in dubbio che sia economicamente conveniente.

Di questi 26, 16 sono paesi con economie avanzate. Su questa porzione, lo studio calcola che anche nel momento in cui arriveranno a emissioni nette zero, i paesi staranno generando ancora il 21% dei gas serra che producevano nel momento del picco massimo. Mentre 9 paesi classificati come economie emergenti pianificano, complessivamente, di emettere ancora il 34% rispetto al picco.

I settori che i governi pensano di “risparmiare” dallo sforzo di abbattere le emissioni sono soprattutto l’agricoltura, da cui deriveranno circa 1/3 di tutte le emissioni residue. Ma le definizioni di “residue” fornite dagli stati, così come le giustificazioni del perché le considerino tali, nella maggior parte dei casi sono vaghe o del tutto assenti. Lasciando così mano libera per considerare residue anche emissioni da settori per cui esistono soluzioni di decarbonizzazione affidabili. Ma sui quali stanno ancora investendo molto oggi. Come le fossili.

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About Author / Lorenzo Marinone

Scrive per Rinnovabili dal 2016 ed è responsabile della sezione Clima & Ambiente. Si occupa in particolare di politiche per la transizione ecologica a livello nazionale, europeo e internazionale e di scienza del clima. Segue anche i temi legati allo sviluppo della mobilità sostenibile. In precedenza si è occupato di questi temi anche per altri siti online e riviste italiane.