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I paesi ricchi nascondono le emissioni fossili sotto l’equatore

Emissioni fossili: ecco come il G7 incatena il sud globale
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Così i paesi del G7 incatenano il Sud Globale alle emissioni fossili

(Rinnovabili.it) – Almeno 16 miliardi di dollari l’anno, tra il 2017 e il 2019. È l’ammontare di finanziamenti che le economie avanzate del G7 hanno fatto piovere su paesi a medio reddito del sud globale. Nella forma di progetti basati sul gas naturale come centrali e impianti di estrazione. Un modo per delocalizzare le emissioni fossili. Con un effetto collaterale: incatenano questi paesi a fonti inquinanti e rallentano la loro transizione energetica. Lo sottolinea un rapporto dell’International Institute for Sustainable Development (IISD) intitolato “Step off the gas: International public finance, natural gas, and clean alternatives in the Global South”.

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Investimenti di questo tipo non sono solo in contraddizione con l’accordo di Parigi, che punta a limitare il riscaldamento globale a 1,5°C sui livelli pre-industriali. Sono anche, molto probabilmente, soldi buttati: le centrali a gas hanno una durata di vita stimata di 30 anni, quindi dovrebbero continuare a funzionare oltre il 2050, orizzonte per la neutralità climatica.

In teoria, non è tecnicamente impossibile far convivere emissioni fossili da gas naturale e obiettivo net-zero: posizione sposata da industrie e Stati che non vogliono abbandonare le emissioni fossili, e puntano sullo sviluppo di tecnologie CCS per la cattura e lo stoccaggio della CO2. Ma questi investimenti nel gas diventeranno meno convenienti, puntualizza il rapporto dell’IISD, se non proprio fuori mercato – un po’ come succede oggi al carbone – con la crescita delle rinnovabili.

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Il rovescio della medaglia è che per i paesi che ospitano questi progetti sarà più complicato abbandonare le emissioni fossili, anche se alternative più pulite diventeranno sempre più convenienti. È questo l’effetto delle scelte dei paesi del G7, che stanno convogliando sui progetti di gas nei paesi a basso e medio reddito più finanziamenti pubblici internazionali rispetto a qualsiasi altra fonte di energia: quattro volte tanto l’eolico o il solare.

A guidare questa operazione sono soprattutto Stati Uniti, Giappone e Cina: insieme hanno fornito il 48% dei finanziamenti pubblici per il gas nel sud del mondo. Segue poi la Banca Mondiale, che ha rappresentato un ulteriore 12%. Perché queste politiche? Il rapporto sostiene che lo scopo è espandere i propri mercati in Asia e Africa, a vantaggio delle industrie petrolifere delle nazioni ricche.

“Mentre paesi come l’Australia e gli Stati Uniti espandono massicciamente le loro esportazioni di gas naturale liquefatto, il denaro pubblico a sostegno della nuova infrastruttura del gas sembra più orientato a servire potenti interessi che ad aiutare i paesi del sud a soddisfare i loro bisogni”, spiega al Guardian l’autore principale del rapporto, Greg Muttitt.

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