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Le emissioni fantasma di cui non parla la COP26 di Glasgow

Un’inchiesta del Washington Post calcola il divario tra le emissioni dichiarate all’Unfccc dai paesi e quelle registrate in modo indipendente a livello globale. Gli Stati non riportano accuratamente i loro gas serra: sotto la lente soprattutto le stime di quanta CO2 foreste e altri carbon sink sono in grado di assorbire

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Foto di jplenio da Pixabay

Il gap di emissioni è di 8,5 – 13,3 GtCO2e

(Rinnovabili.it) – Secondo l’Unfccc, per mantenere l’aumento delle temperature entro 1,5 gradi rispetto all’epoca preindustriale, serve un taglio delle emissioni del 45% rispetto al 2010. Per Climate Action Tracker, entro il 2030 bisogna cancellare ancora tra le 19 e le 23 GtCO2e per mettere il pianeta su una traiettoria compatibile con l’obiettivo più ambizioso dell’accordo di Parigi. Stime di questo genere accompagnano i negoziati della COP26 in corso a Glasgow, fanno da corollario ai rapporti dell’Ipcc e sono i dati su cui si tarano le politiche nazionali sul clima. Peccato che potrebbero essere tutti sballati e portarci a sbattere contro un riscaldamento globale molto maggiore di quanto prevediamo.

Il divario tra i dati sulle emissioni di gas serra nazionali con cui i leader mondiali sono approdati alla COP26 e il vero impatto delle emissioni reali sull’atmosfera è enorme. Cosa non quadra? Non quadrano i volumi emissivi dichiarati dai paesi, spiega un’inchiesta del Washington Post.

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Il gap è tutt’altro che trascurabile, una discrepanza che non si può spiegare solo con qualche errore di misurazione del tutto involontario. Il divario sarebbe tra le 8,5 e le 13,3 Gt di CO2: il margine superiore della forchetta è pari a ¼ delle emissioni globali totali prodotte in un anno. In parte il problema nasce dalla mancanza di uniformità nelle griglie usate per dichiarare le emissioni nazionali. Un punto su cui l’Unfccc ha promesso di lavorare: tuttavia, nel frattempo continuiamo a costruire politiche climatiche sulla base di dati errati.

Ma ci sono anche altri problemi nella reportistica. Spesso si riportano per difetto le emissioni di metano, mentre quelle dei gas fluorinati a volte sono del tutto assenti nei documenti nazionali. Ma, soprattutto, gli Stati sovrastimano l’efficacia di foreste, torbiere e altri ecosistemi nel catturare e stoccare la CO2. Secondo l’inchiesta del quotidiano statunitense, questi carbon offset, che a questo punto bisognerebbe sempre definire come “presunti”, sono alla base del 59% del gap globale di emissioni registrato.

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Un esempio su tutti fa capire quanto siano evidenti i problemi con questi dati. La Malesia ha dichiarato che le sue foreste sono in grado di assorbire CO2 ad un ritmo 4 volte superiore a quello che ha dichiarato l’Indonesia, con cui confina.

“Per dirla senza giri di parole: sembra saggio in questo momento avere un sano scetticismo sui numeri e le promesse dei paesi”, ha scritto su Twitter Chris Mooney, il giornalista del Washington Post che appare come prima firma dell’inchiesta. “E sembra chiaro che abbiamo bisogno di molta, molta più trasparenza su questi numeri, e più controlli indipendenti”. (lm)