Riducendo le emissioni di metano antropiche, legate al comparto energetico, avremmo benefici climatici più rapidi
(Rinnovabili.it) – Negli ultimi tre secoli, le emissioni di metano nell’atmosfera sono aumentate di circa il 150%. Una crescita importante di cui è stato difficile però rintracciare l’origine in maniera precisa. Questo gas serra può, infatti, essere legato ad attività umane come la produzione energetica, i rifiuti o l’allevamento, ma anche essere emesso in maniera naturale, dalle riserve geologiche o dalle zone umide. A fare chiarezza sulla questione e portare nuove informazioni alla lotta climatica è oggi un team di ricercatori dell’Università di Rochester.
In uno studio pubblicato su Nature (testo in inglese) il gruppo ha cercato di discriminare le varie fonti di metano per valutarne il singolo impatto. L’indagine ha richiesto un test particolare: la misurazione dei livelli di CH4 in campioni di “aria antica”, ossia aria intrappolata in un nucleo di ghiaccio di epoca pre-industriale. Il test ha permesso di scoprire che la quantità di metano immessa nell’atmosfera dall’attività umana e, in particolare, quella legata allo sfruttamento dei combustibili fossili, è stata finora ampiamente sottovalutata.
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“Il metano – spiegano i ricercatori – è un gas serra estremamente gravoso per quanto riguarda il riscaldamento globale. Dopo la CO2, è il principale fattore antropico a contribuire al riscaldamento globale”. Rispetto al biossido di carbonio e ad altri gas che intrappolano il calore, il metano ha tuttavia una durata di conservazione relativamente breve. In media, permane nell’atmosfera per circa nove anni, mentre la CO2, ad esempio, può persistere anche un secolo. Ciò rende il metano un obiettivo sensibile, inteso cioè come particolarmente adatto per contenere i livelli di emissione in un breve lasso di tempo. “Se oggi smettessimo di emettere CO2, i livelli di biossido di carbonio nell’atmosfera persisterebbero ancora per molto tempo“, ha affermato Benjamin Hmiel, co-autore dello studio. “Se riducessimo le emissioni di metano, invece, otterremmo degli effetti sul riscaldamento globale molto più rapidamente“.
La ricerca suddivide in due categorie il metano emesso in base alla firma del carbonio-14: CH4 fossile e CH4 biologico. Il primo è stato sequestrato per milioni di anni in antichi depositi di idrocarburi e non contiene più carbonio-14 perché l’isotopo è decaduto; il secondo, proveniente da piante e animali, contiene carbonio-14. E per entrambi esiste una suddivisione ulteriore in “antropico” o “naturale”.
In questo contesto i campioni di ghiaccio agiscono come una sorta di capsule temporali: contengono bolle d’aria con piccole quantità di gas intrappolate all’interno. I ricercatori hanno utilizzato una camera di fusione per estrarre l’aria e quindi studiarne la composizione chimica. Misurando gli isotopi di carbonio, hanno scoperto che quasi tutto il metano emesso nell’atmosfera era di natura biologica fino al 1870 circa. Da allora che la componente fossile iniziò a crescere rapidamente.
Nel dettaglio i livelli di metano fossile rilasciato naturalmente sono circa 10 volte inferiori rispetto a quanto precedentemente stimato. Da questo dato, Hmiel e i suoi colleghi hanno dedotto che la componente fossile prodotta invece dall’uomo fosse più alta di circa il 25 – 40% del previsto.
Le conclusioni sono , da un certo punto di vista, anche “rassicuranti”: se le emissioni antropiche di metano fossile rappresentano la fonte maggiore di questo gas serra, interventi a livello di attività come l’estrazione e l’uso di combustibili fossili avranno un impatto maggiore ed assai più veloce sul contenimento del riscaldamento globale di quanto ritenuto in passato.
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