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Il disgelo del permafrost tra gas serra, antichi virus e disastri ambientali

disgelo del permafrost
By Jesse Allen and Robert Simmon – NASA Earth Observatory, Public Domain, Link

I pericoli del disgelo del permafrost artico

(Rinnovabili.it) – In Siberia la situazione ambientale si fa sempre più grave. Le prime brutte notizie sono arrivate a fine maggio quando le fiamme sono tornate ad avvolgere il territorio e le regioni orientali della Russia con una violenza 10 volte peggiore di quella del 2019. La causa? Temperature straordinariamente alte che ormai da mesi tengono in ostaggio il la regione, alimentando i cosiddetti “incendi zombie”. In alcune aree, la colonnina di mercurio è salita addirittura di 10°C sopra la media stagionale. Un valore preoccupante e non solo per il rischio di nuovi e devastanti roghi. La Siberia ospita una parte importante del permafrost artico, suolo perennemente ghiacciato (presente anche in Canada e Alaska) che costituisce una componente importante della criosfera terrestre.

Il riscaldamento globale ha impresso un’accelerazione allo scongelamento del permafrost, lasciando dietro di sè più di un problema. Il primo è essenzialmente strutturale: scomparso il ghiaccio, il terreno rischia di sgretolarsi improvvisamente. Questo è uno dei motivi più accreditati dietro al disastro di Norilsk, nella Siberia settentrionale. Si teme infatti che dietro il crollo del serbatoio diesel e lo sversamento di oltre 20mila tonnellate di carburante, ci sia proprio la fragilità del terreno dove sorgeva la struttura. D’altra parte Norilsk è la più grande città del mondo costruita sul permafrost e, da quando il terreno congelato si sta sciogliendo, circa il 60% degli edifici cittadini sono stati danneggiati.

Il secondo problema è funzionale. Sotto al permafrost sono conservate miliardi di tonnellate di carbonio (CO2 e metano), la cui liberazione potrebbe costituire una sorta di loop climatico. Il calore scioglie il ghiaccio, liberando i gas serra che, a loro volta, aumentano le temperature, in un circolo quasi perfetto. In particolare, in Siberia si trova un tipo di permafrost chiamato yedoma, risalente al pleistocene e particolarmente ricco di sostanze organiche: gli scienziati stimano che questo suolo abbia intrappolato circa 500 GT di carbonio.

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Ma a preoccupare non sono solo gas serra, disastri ambientali, frane e danni strutturali. Il riscaldamento globale sta facendo emergere strati di terreno molto più profondi dove sono conservati virus e batteri

E non si tratta, purtroppo, di un’ipotesi remota. Nel 2016 un bambino è morto e 26 adulti sono stati ricoverati nell’estremo nord della Siberia a causa dell’antrace. Il batterio responsabile, il bacillus anthracis, proveniva, secondo gli scienziati, da cadaveri di renne infette sepolte 70 anni e riportate alla luce con lo scioglimento del ghiaccio.

Solo due anni prima un gruppo di ricercatori dell’Università di Aix-Marsiglia avevano rianimato un virus gigante (ma innocuo per l’essere umano), soprannominato Pithovirus sibericum. Il microrganismo era stato rinchiuso nel permafrost siberiano per oltre 30.000 anni.

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