Disastri climatici e pandemia, tempesta perfetta per 140 milioni di persone
(Rinnovabili.it) – La crisi climatica ha ucciso più di 17.000 persone dall’inizio della pandemia. E il numero di chi è stato colpito in qualche modo dai disastri climatici a partire da marzo 2020 lievita a centinaia di milioni di persone. Sono quasi 140 milioni gli esseri umani che hanno dovuto fare i conti con eventi climatici estremi resi più devastanti dal riscaldamento globale. sempre negli ultimi 18 mesi, sono più di 650 milioni le persone esposte a ondate di caldo estreme.
I numeri li fornisce la Federazione internazionale della Croce Rossa, che ha presentato la settimana scorsa un rapporto dove passa in rassegna il doppio impatto della crisi sanitaria e della crisi climatica nel mondo. Una tempesta perfetta che rende milioni di persone più vulnerabili: inondazioni, carestie, siccità e uragani, sovrapposti all’emergenza coronavirus, Sono alcuni dei disastri climatici considerati nel dossier.
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“Il mondo sta affrontando una crisi umanitaria senza precedenti in cui il cambiamento climatico e il COVID-19 stanno spingendo le comunità ai loro limiti”, commenta Francesco Rocca, presidente dell’IFRC. “In vista della COP26, esortiamo i leader mondiali ad agire immediatamente non solo per ridurre le emissioni di gas serra, ma anche per affrontare gli impatti umanitari esistenti e imminenti del cambiamento climatico”.
La doppia crisi è più acuta ed evidente in regioni già flagellate dal conflitto. È il caso dell’Afghanistan, dove la siccità ha azzoppato la produzione agricola e colpito in modo duro gli allevamenti causando un aumento importante della nutrizione, in un paese che corre spedito verso una nuova guerra civile dopo 30 anni di conflitti.
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Per Julie Arrighi, direttore associato del Climate Center della Federazione internazionale della Croce Rossa, “i pericoli non devono necessariamente trasformarsi in disastri climatici”. La soluzione passa dal cambiare “il modo in cui anticipiamo le crisi, finanziamo azioni tempestive e la riduzione dei rischi a livello locale”. Dando la priorità ad “aiutare le comunità a diventare più resilienti, soprattutto nei contesti più vulnerabili”.