L’8 marzo il deficit di neve in Italia è arrivato al -63% sulla media degli ultimi 12 anni
(Rinnovabili.it) – Al culmine della stagione invernale, il deficit di neve in Italia è salito al -63% sulla media degli ultimi 12 anni. L’8 marzo, il livello dell’equivalente idrico nivale nazionale – cioè la quantità di acqua stoccata in montagna sotto forma di neve – era pari a quello che, in condizioni normali, ci aspetteremmo a metà maggio.
Dopo la lieve ripresa di fine gennaio-inizio febbraio, infatti, sono seguite settimane di caldo superiore alla norma che hanno accelerato lo scioglimento della risorsa nivale. In una ventina di giorni si è sciolto ben un terzo della neve che si era accumulata in inverno in tutta Italia.
Sono i dati che emergono dal monitoraggio di Fondazione CIMA all’indomani del picco invernale: tradizionalmente, il 4 marzo in Italia segna il culmine della stagione invernale per quanto riguarda l’accumulo nevoso sui rilievi. Questo non significa che dopo tale data non nevichi più, specie in montagna, ma che le precipitazioni nevose non aumentano in modo significativo gli accumuli e si sciolgono molto in fretta.
Il deficit di neve in Italia è peggiore dell’anno scorso
Il paragone del deficit di neve in Italia con l’andamento degli accumuli nell’ultimo decennio è impietoso. Il grafico qui sotto riporta in rosso i valori di questa stagione invernale, mentre la linea tratteggiata si riferisce al 2022. Due considerazioni saltano all’occhio.
La prima: in termini assoluti, il picco di equivalente idrico nivale è stato pressappoco identico, poco oltre i 6 miliardi di metri cubi. La differenza evidente, però, sta nella tempistica: quest’anno il picco è anticipato di 30-45 giorni circa. È probabile che la neve in montagna si sciolga prima, e quindi che in assenza di precipitazioni piovose ben distribuite in primavera ed estate venga a mancare acqua ben prima rispetto all’anno scorso, quando l’Italia ha vissuto la peggiore annata di siccità degli ultimi 70 anni.
La seconda differenza è la rapidità dello scioglimento. La discesa iniziata nella seconda metà di febbraio è più veloce di quella avvenuta nel 2022. D’altronde, al Nord, l’inverno è stata una stagione particolarmente calda, con un’anomalia termica di +1,38°C e uno scostamento delle temperature minime dalla media anche più pronunciato, con +1,64°C. E a febbraio, se il resto d’Italia è rimasto in linea con la climatologia degli ultimi 30 anni, le regioni settentrionali hanno invece segnato +1,47°C in media.
Alpi all’asciutto
La situazione è particolarmente grave sull’arco alpino. Il deficit di neve sulle Alpi arriva al -69%, significativamente inferiore a quello registrato l’anno scorso. I livelli nivologici in montagna sono analoghi a quelli che, negli ultimi 12 anni, si presentavano mediamente attorno a giugno. I mesi di anticipo, qui, sono circa 3. Se si considera solo la neve presente nel bacino idrografico del Po, il deficit è del -66% con un andamento e su livelli molto simili a quelli del 2022. Va comunque notato che la pianura sta ancora scontando la stagione passata e dunque la siccità quest’anno potrebbe essere peggiore anche con identici accumuli di neve in montagna.
Quali potranno essere le conseguenze? “Che cosa abbiamo imparato dai precedenti deficit di neve? Innanzitutto, che le scarse risorse idriche nevose spesso portano a un calo della produzione di energia idroelettrica su scala alpina. In secondo luogo, che gli anni caldi e siccitosi come il 2022 vedono meno neve ma anche un maggiore fabbisogno di acqua per l’irrigazione”, commenta Francesco Avanzi, ricercatore dell’ambito Idrologia e Idraulica di Fondazione CIMA. “È una “tempesta perfetta” per le nostre montagne, che forniscono meno neve – proprio quando avremo bisogno di più acqua del solito”.