Rinnovabili • Crisi climatica: nel Sahel impatto doppio che nel resto dell’Africa

La crisi climatica ghigliottina l’economia africana: -14% nel 2050

Il Pil pro capite scenderà del 34% nel 2100, mentre il tasso di crescita rallenterà del 64%. Dati molto peggiori per i paesi della fascia saheliana, dal Mali a Gibuti

Crisi climatica: nel Sahel impatto doppio che nel resto dell’Africa
Foto di Oluwaseyi Aiyeobasan da Pixabay

Il rapporto di Christian Aid sull’impatto della crisi climatica sull’economia africana

(Rinnovabili.it) – L’Africa è responsabile solo del 3,5% delle emissioni globali ma subisce – e subirà sempre di più – l’impatto della crisi climatica più di altre regioni. Tanto da perdere il 14% del Pil pro capite entro metà secolo e fino al 34% nel 2100. E questo è lo scenario migliore, che presuppone il rispetto degli impegni presi con il Paris agreement. Lo ha calcolato Christian Aid in un rapporto pubblicato oggi, in concomitanza con il Finance day alla COP27 di Sharm el-Sheikh.

Un declino che riguarda anche il tasso di crescita. Nelle 50 economie africane su 54 analizzate nel rapporto della ong, da cui dipendono le vite del 15% della popolazione mondiale, la curva del Pil sarà il 20% più piatta nel 2050, una cifra che sale poi al 64% a fine secolo. Si tratta, però, di dati medi. In alcuni paesi particolarmente vulnerabili l’impatto della crisi climatica sarà decisamente più devastante.

Leggi anche

“Sono otto i Paesi (Sudan, Mauritania, Mali, Niger, Burkina Faso, Ciad, Gibuti e Nigeria) che rischiano di veder ridotta la loro crescita economica di almeno il 25% entro il 2050, se gli impatti del cambiamento climatico saranno in linea con le politiche attuali, che prevedono un riscaldamento di circa 2,7°C”, si legge nel rapporto. Il danno economico a fine secolo sarebbe pesantissimo per questi paesi del Sahel: una contrazione dell’economia di almeno l’80%, salvo Gibuti e Nigeria con -78 e -75%.

Invertire la rotta è, per alcuni versi, impossibile. Ma si può fare molto per limitare l’impatto. Ed è qui che entra in gioco la finanza per il clima. “È imperativo che i negoziatori, compresi i leader di governo, riconoscano che i cambiamenti climatici stanno già causando perdite e danni”, sostiene Christian Aid riferendosi ai Loss & Damage, cioè i fondi che i paesi più ricchi dovrebbero stanziare a favore dei paesi più vulnerabili per attutire il colpo dei disastri climatici. Un dossier al centro dei negoziati in Egitto, per la prima volta nella storia delle Conferenze delle Parti, che dovrebbe essere per lo meno impostato quest’anno per arrivare a una soluzione definitiva entro il 2024.

Leggi anche La COP27 in Egitto avrà successo se scioglierà i nodi della finanza climatica

Un capitolo separato dalla finanza per il clima fornita per mitigazione e adattamento, i famosi 100 miliardi di dollari che, più di 2 anni dopo la scadenza, ancora non si sono materializzati tutti. “Sono necessari finanziamenti climatici molto più ambiziosi per affrontare gli impatti climatici attraverso l’adattamento e le perdite e i danni”. A questo sforzo, tramite tagli alle emissioni, devono contribuire tutti “i Paesi ricchi e inquinanti” ovvero non solo i responsabili delle emissioni storiche ma “anche quelli che contribuiscono più di recente alle emissioni di carbonio, come i Paesi del Golfo ad alto reddito e i Paesi a medio reddito come India e Cina.